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Entrò, lasciando che la luce filtrasse quanto bastava per riconoscere gli oggetti.
Vide il mucchio delle vecchie selle ancora intatto. Si sentí rinascere. Disfò la montagna di cuoio. Qualcuno aveva spostato l'incerata. Ma sotto, ringraziando la Madonna, il televisore era tutto intero. Lí dove l'aveva lasciato.
Bastava pulirlo un po' ed era nuovo di magazzino.
Con quello ci faceva i soldi. Soldi veri. In culo a Cinquegrana e all'esercito americano.
Trasportarlo era un'impresa. Chissà che fine aveva fatto la bici. Una carriola tutta arrugginita, che in passato aveva trasportato quintali di merda, era l'unico mezzo a disposizione. Ci appoggiò sopra l'incerata e afferrò il televisore. Pesava uno sproposito! Pareva il doppio di quando lo aveva preso. La galera l'aveva rammollito, che schifo. Ma adesso si metteva a posto. Doveva venderlo subito. Aveva già passato troppi guai. Ma il risarcimento era arrivato. Gli toccava solo l'ultima sofferenza: i chilometri a spingere il catafalco fino da Gigino al Vico Vasto.


Capitolo 40
Slano, Dalmazia, 18 aprile


Nella foschia del primo pomeriggio, Pierre distinse un tratto d'orizzonte piú scuro.
Puntò il dito e domandò: - Šipan?
L'uomo sollevò lo sguardo dal garbuglio della rete da pesca e fece di sí col capo.

La mattina, Darko l'aveva svegliato che era ancora buio. Sul tavolo fumava una tazza di latte e miele. Pierre aveva sciolto il sonno nell'acqua fredda del catino e si era vestito in fretta.
Il carico era già sistemato, coperto da un vecchio telo militare. Formaggi, a giudicare dall'odore.
Gli scossoni avevano cullato Pierre per tutto il tragitto. Giunti a Spalato, Darko l'aveva svegliato di nuovo.
Il viaggio era durato meno di un'ora.

Pierre strinse gli occhi e guardò ancora. Il riflesso del sole nell'acqua era accecante. Rimpianse di non aver mai imparato a nuotare, perché l'isola sembrava vicina. Ma forse era solo impressione.
Si chinò sul pescatore e gli toccò la spalla: - Parli italiano?
La testa dell'uomo dondolò da destra a sinistra. Sporse il busto in avanti e indicò qualcuno, seduto sul molo, poco piú in là.
Il camionista si chiamava Stjepan e andava a Mostar con un carico di pesce. Il bivio per Mostar era sulla strada litoranea, novanta chilometri a nord di Dubrovnik.
Darko aveva posto l'alternativa: - Tu aspetta domani e va' con Milos, lui no problema, deve arrivare fino Albania oppure parte subito con Stjepan, poi cerchi altro.
Pierre non voleva aspettare: aveva abbracciato Darko ed era salito sul camion.
Nella mezz'ora successiva non aveva staccato gli occhi dal finestrino. La strada correva parallela alla costa, tra una catena montuosa imponente, a picco sul mare, e il profilo appena sfocato di un'isola. Non aveva mai visto niente di simile.
- Viene da Italia? - la voce di Stjepan aveva rotto il silenzio. Parlava italiano piú o meno come Darko. - Imparato in guerra, - aveva aggiunto.
Nel suo battaglione di partigiani dalmati militavano dodici disertori italiani.
- Vittorio Capponi? - una pausa per rovistare la memoria. - No, non ricordo.

Anche il secondo pescatore stava trafficando con una rete.
- Parli italiano? - domandò ancora Pierre.
La risposta fu piú che affermativa.
- Sono italiano, di Rovigno.
Pierre sorrise. - Ah, bene. Io vengo da Bologna, mi chiamo Robespierre. Cerco un passaggio per l'isola di Šipan.
- Sei un turista? - Lo sguardo era diffidente.
- No, devo incontrare un parente che non rivedo da anni -. Non voleva essere troppo esplicito, sulla faccenda del padre, ma un generico "parente lontano" ammorbidiva gli animi.
Il pescatore lo studiò un attimo, poi si alzò con fatica, puntando una mano a terra: - Vieni. Ti porto da uno che abita lí.

Il posto ricordava le valli di Comacchio, ma piú selvaggio e fitto di alberi. Un labirinto d'acqua e terra. Laghi, canali, insenature nascoste. Palude salmastra e fiume.
Di fronte, sempre il mare, e l'ennesima isola a movimentare l'orizzonte.
- Neretva rijeka, fiume Neretva, - aveva risposto Stjepan allo sguardo di Pierre. - Io nato vicino, paese Bacina. Tu sai, in guerra, qui, c'era fascisti. Loro vuole portare mia famiglia in lager. Un italiano salva noi.
Pierre non aveva dovuto insistere per sentirsi raccontare di "Diavolo", militare in Abissinia, Albania, Grecia e infine a Bacina, nel presidio dell'esercito italiano.
- Lui aiutava tutti. Faceva spia per nostre partizani. Diceva quando tu dovevi andare in lager. Portava bombe e arma.
Alla lunga, lo avevano scoperto e imprigionato. Allora Stjepan e altri avevano fatto ubriacare la guardia, e lui era fuggito scalzo, i polsi legati, raggiungendo i ribelli il mattino seguente.
- Smrt fašizmu... Sloboda narodu! - aveva concluso il camionista accostando sulla destra.
La strada si diramava. I cartelli dicevano Dubrovnik 94, Mostar 57, Sarajevo 193.
Il viaggio era durato un paio d'ore.

I due borbottarono qualcosa tra loro.

...continua


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