LUIGI PIRANDELLO
In silenzio
INDICE
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In silenzio
L'altro figlio
La morte addosso
Va bene
Il giardinetto lassù
La maschera dimenticata
La balia
Il corvo di Mìzzaro
La veglia
Lo spirito maligno
Alla zappa!
Una voce
Pena di vivere così
IN SILENZIO
- Waterloo! Waterloo, santo Dio! Si pronunzia Waterloo!
- Sissignore, dopo SantElena.
- Dopo? Ma che dice? Come centra SantElena adesso?
- Ah, già! Lisola dElba.
- Ma no! Lasci lisola dElba, caro Brei! Crede che un lezione di storia si possa improvvisare? E dunque segga!
Cesarino Brei, pallido, timido, sedette; e il professore seguitò a guardarlo per un pezzo, contrarito, se non proprio stizzito.
Quel ragazzo, della cui diligenza e buona volontà nello studio sera tanto lodato ne due primi anni di liceo, ora cioè da quando aveva indossato luniforme di convittore del Collegio Nazionale, - pure stando attento attentissimo alle lezioni da quel bravo alunno che era, eccolo là: neanche le vere ragioni per cui Napoleone Bonaparte era stato sconfitto a Waterloo sapeva più penetrare!
Che gli era accaduto?
Non se ne sapeva render conto nemmeno lo stesso Cesarino. Stava ore e ore a studiare, o per dir meglio, coi libri aperti sotto le grosse lenti da miope; ma non poteva più fermare lattenzione su di essi, sorpreso e frastornato da pensieri nuovi e confusi. E questo, non soltanto dacché era entrato in collegio, come i professori credevano, ma da qualche tempo prima. Anzi Cesarino avrebbe potuto dire che a causa di questi pensieri appunto e di certe strane impressioni sera lasciato indurre dalla madre a entrare in collegio.
La madre (che lo chiamava Cesare e non Cesarino) senza guardarlo negli occhi gli aveva detto:
- Tu hai bisogno, Cesare, di cambiar vita; bisogno dun po di compagnia di giovani della tua età, e dun po dordine e di regola, non solo nello studio, ma anche nello svago. Ho pensato, se non ti dispiace, di farti passare questultimo anno di liceo in collegio. Vuoi?
Sera affrettato a rispondere di sì, senza pensarci su due volte; tanto turbamento la vista della madre gli cagionava da alcuni mesi.
Figlio unico, non aveva conosciuto il padre, il quale doveva esser morto giovanissimo, se la madre si poteva ancora dir giovane: trentasette anni. Lui già ne aveva diciotto: cioè proprio letà che aveva la madre quando aveva sposato.
I conti tornavano; ma, veramente, lessere sua madre ancora giovane e laver sposato a diciotto anni, non voleva poi dire che, per conseguenza, il padre doveva esser morto giovanissimo, perché la madre poteva avere sposato uno maggiore detà di lei, e forsanche un vecchio, eh? Ma Cesarino aveva poca fantasia. Non simmaginava né questa né tantaltre cose.
In casa, del resto, non cera alcun ritratto del babbo, né alcuna traccia chegli fosse mai esistito: la madre non gliene aveva mai parlato, né a lui era mai venuta curiosità daverne qualche notizia. Sapeva soltanto che si chiamava Cesare come lui, e basta. Lo sapeva perché negli attestati di scuola cera scritto: Breri Cesarino del fu Cesare, nato a Milano, ecc. A Milano? Sì. Ma non sapeva nulla neanche della sua città natale, o, per dir meglio, sapeva che a Milano cera il Duomo, e basta: il Duomo, la Galleria Vittorio Emanuele, il panettone, e basta. La madre, anchessa milanese, era venuta a stabilirsi a Roma subito dopo la morte del marito e la nascita di lui.
Quasi quasi, a pensarci, Cesarino poteva dire di non conoscer bene neppure la madre. Non la vedeva quasi mai durante il giorno. Dalla mattina fino alle due del pomeriggio, ella stava alla Scuola Professionale, dove insegnava disegno e ricamo; andava poi in giro fino alle sei, fino alle sette, talvolta fino alle otto di sera, per impartire lezioni particolari anche di lingua francese e di pianoforte. Rincasava stanca, la sera; ma, pure in casa, in quel po di tempo prima di cena, altre fatiche, certe cure domestiche a cui la serva non avrebbe potuto attendere; e, subito dopo cena, la correzione dei lavori delle scolarette private.
Mobili più che decenti, tutte le comodità, guardaroba ben fornito, dispensa abbondantemente provvista, eh sì, sfido! Con tutto questo gran lavoro della mammina infaticabile; ma che tristezza anche, e che silenzio in quella casa!
Cesarino, ripensandoci dal collegio, se ne sentiva ancora stringere il cuore. Quandera là, appena ritornato dalla scuola, desinava solo, svogliato, nella saletta da pranzo ricca ma quasi buja, con un libro aperto davanti appoggiato alla bottiglia dellacqua sul riquadro bianco del tovagliolo apparecchiato lì per lì sulla tavola antica di noce; poi si chiudeva in camera a studiare; e, infine, la sera quando lo chiamavano a cena, usciva tutto raffagottato intorpidito, rannuvolato, con gli occhi strizzati dietro le lenti da miope.
Madre e figlio, cenando, scambiavano tra loro poche parole. Ella gli domandava qualche notizia della scuola; come avesse passato la giornata; spesso lo rimproverava del modo di vita che teneva, così poco giovanile, e voleva che si scotesse; lo incitava a muoversi un po, di giorno allaperto; a esser più vivace, più uomo, via! Lo studio sì, ma anche qualche svago ci voleva. Soffriva, ecco, a vederlo così uggito, pallido, disappetente. Egli le dava brevi risposte: sì, no; prometteva con freddezza e aspettava con impazienza la fine della cena per andarsene a letto, presto presto, poiché era solito di levarsi per tempo la mattina.
Cresciuto sempre solo, non aveva nessuna domestichezza con la madre. La vedeva, la sentiva molto diversa da sé, così alacre, energica e disinvolta. Forse egli somigliava al padre. E il vuoto lasciato dal padre da tanto tempo stava tra lui e la madre, e sera sempre più ingrandito con gli anni. Sua madre, anche lì presente, gli appariva sempre come lontana.
Ora questa impressione era cresciuta fino a cagionargli uno stranissimo imbarazzo, allorché (molto tardi, veramente; ma Cesarino si sa aveva poca fantasia), per una conversazione tra due compagni di scuola, le prime infantili finzioni dellanima gli erano cadute, scoprendogli improvvisamente certi vergognosi segreti della vita finora insospettati. Allora la madre gli era come balzata ancor più lontana. Negli ultimi giorni passati a casa, aveva notato chella, non ostante il gran lavoro a cui attendeva senza requie dalla mattina alla sera, si conservava bella, molto bella e florida, e che di questa bellezza aveva gran cura: si acconciava i capelli con lungo e amoroso studio ogni mattina, vestiva con signorile semplicità, con non comune eleganza; e sera sentito quasi offeso finanche dal profumo chella aveva addosso, non mai prima avvertito così, da lui.
Per togliersi appunto da questa curiosa disposizione danimo verso la madre, aveva subito accolto la proposta dentrare in collegio. Ma se nera ella accorta? O da che era stata spinta a fargli quella proposta?
Cesarino, ora, ci ripensava. Era stato sempre buono e studioso, fin da piccino; aveva fatto sempre il suo dovere senza la sorveglianza dalcuno; era un po gracile, sì, ma stava pur bene in salute. Le ragioni addotte dalla madre non lo persuadevano punto. Lottava intanto contro se stesso per non accogliere certi pensieri, di cui sentiva poi onta e rimorso; tanto più che, ora, sapeva ammalata la mamma. Da più mesi ella non veniva a visitarlo, le domeniche, al collegio. Le ultime volte chera venuta, sera lamentata di non star bene; e, difatti, a Cesarino non era sembrata florida come prima; aveva anzi notato una trascuratezza insolita nellacconciatura di lei, che gli aveva fatto sentire più acuto il rimorso dei pensieri cattivi suggeriti dalla soverchia cura chella prima vi poneva.
Dalle letterine, che di tanto in tanto la madre gli inviava per domandargli se avesse bisogno di qualche cosa, Cesarino sapeva che il medico le aveva ordinato di stare in riposo, perché si era troppo e per troppo tempo affaticata, e proibito duscire, assicurando tuttavia che non cera nulla di grave e che, seguendo scrupolosamente le prescrizioni, sarebbe senza dubbio guarita. Ma linfermità si protraeva e Cesarino già stava in pensiero e non gli pareva lora che lanno scolastico terminasse.
Naturalmente, in tali condizioni di spirito, le vere ragioni escogitate dal professore di storia, per cui Napoleone Bonaparte era stato sconfitto a Waterloo, per quanti sforzi facesse, non riusciva a penetrarle bene.
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