Il bugiardo

OTT. Me ne rallegro infinitamente. (Lo sposo è aggiustato bene.)
DOTT. Ora mi resta da collocare Beatrice.
OTT. Non durerà fatica a trovarle marito.
DOTT. So ancor io che ci sarà più d'uno che aspirerà ad esser mio genero, poichè non ho altro che queste due figlie, e alla mia morte tutto sarà di loro; ma siccome il signor Ottavio più e più volte ha mostrato della premura per Beatrice, dovendola maritare, la darò a lui piuttosto che ad un altro.
OTT. Vi ringrazio infinitamente. Non sono più in grado di ricevere le vostre grazie.
DOTT. Che vuol ella dire? Pretende di voler vendicarsi della mia negativa? Allora non era in grado di maritarla; ora mi ritrovo in qualche disposizione.
OTT. (con alterezza) La dia a chi vuole. Io non sono in caso di prenderla.
DOTT. Vossignoria parla con tal disprezzo? Beatrice è figlia d'un ciabattino?
OTT. È figlia d'un galantuomo; ma, degenerando dal padre, fa poco conto del suo decoro.
DOTT. Come parla, padron mio?
OTT. Parlo con fondamento. Dovrei tacere, ma la passione che ho avuta per la signora Beatrice, e che tuttavia non so staccarmi dal seno, e la buona amicizia che a voi professo, mi obbliga ad esagerare così e ad illuminarvi, se foste cieco.
DOTT. Ella mi rende stupido e insensato. Che mai vi è di nuovo?
OTT. Sia quello ch'esser si voglia, non vo' tacere. Le vostre due figlie, la scorsa notte, dopo aver goduta una serenata, hanno introdotto un forestiere nella loro casa, con cui cenando e tripudiando, hanno consumata la notte.
DOTT. Mi maraviglio di voi, signore; questa cosa non può essere.
OTT. Quel che io vi dico, son pronto a mantenervelo.
DOTT. Se siete galantuomo, preparatevi dunque a farmelo constatare; altrimenti, se è una impostura la vostra, troverò la maniera di farmene render conto.
OTT. Obbligherò a confermarlo quello stesso che, venuto ieri da Napoli, è stato ammesso alla loro conversazione.
DOTT. Mie figlie non sono capaci di commettere tali azioni.
OTT. Se sono capaci, lo vedremo. Se prendete la cosa da me in buona parte, sono un amico che vi rende avvisato; se la prendete sinistramente, son uno che in qualunque maniera renderà conto delle sue parole. (parte)


SCENA XXI

Il Dottore solo.

Oh misero me! Povera mia casa! Povera mia riputazione! Questo sì è un male, cui nè Ippocrate, nè Galeno mi insegnano a risanare. Ma saprò ben trovare un sistema di medicina morale, che troncherà la radice. Tutto consiste a far presto, non lasciar che il mal s'avanzi troppo, che non pigli possesso. Principiis obsta, sero medicina paratur. (entra in casa)


FINE DELL'ATTO PRIMO.

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Camera in casa del Dottore.

Dottore e Florindo.

FLOR. Creda, signor Dottore, glielo giuro sull'onor mio. In casa questa notte non è venuto nessuno.
DOTT. So di certo che alle mie figlie è stata fatta una serenata.
FLOR. È verissimo, ed esse l'hanno goduta sul terrazzino modestissimamente. Le serenate non rendono alcun pregiudizio alle figlie oneste. Fare all'amore con onestà è lecito ad ogni civile fanciulla.
DOTT. Ma ricevere di notte la gente in casa? Cenare con un forestiere?
FLOR. Questo è quello che non è vero.
DOTT. Che ne potete saper voi? Sarete stato a letto.
FLOR. Sono stato svegliato tutta la notte.
DOTT. Perchè svegliato?
FLOR. Per causa del caldo io non poteva dormire.
DOTT. Conoscete il signor Ottavio?
FLOR. Lo conosco.
DOTT. Egli mi ha detto tutto ciò, ed è pronto a sostenere che ha detto la verità.
FLOR. Il signor Ottavio mentisce. Lo troveremo; si farà che si spieghi con qual fondamento l'ha detto, e son certo ritroverete essere tutto falso.

...continua


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