L'avaro

CAV. Zitto, signori miei. Lasciatemi dir due parole, e vediamo se mi dà l'animo di accomodar la faccenda con soddisfazione di tutti.
AMB. (verso Don Fernando) Questo povero giovane mi fa compassione.
FER. Per me non c'è caso. Ha detto che non mi vuole.
CON. Si farà una lite per donna Eugenia, ed io m'impegno di sostenerla.
CAV. No, senza liti. Ascoltatemi. Il povero Don Ambrogio, che ha tanto speso, non è dovere che si rovini colla restituzion di una dote. Questa dama non ha da restare nè vedova, nè indotata, e nè tampoco impegnar si deve una lite lunga, tediosa e pericolosa. Facciamo così: ch'ella si sposi con un galantuomo, che oggi non abbia bisogno della sua dote; che questa dote rimanga nelle mani di Don Ambrogio fino ch'ei vive; che corra a peso di Don Ambrogio il frutto dotale al quattro per cento; ma questo frutto ancora resti nelle di lui mani, durante la di lui vita. Alla sua morte la dote e il frutto, e il frutto de' frutti, passi alla dama, o agli eredi suoi, e per non impicciare in conti difficili l'eredità di Don Ambrogio, in una parola, goda egli tutto fin a che vive, e dopo la di lui morte, non avendo egli nè figliuoli, nè nipoti, instituisca donna Eugenia erede sua universale. (a Don Ambrogio) Siete di ciò contento?
AMB. Non mi toccate niente, son contentissimo.
CAV. Voi, donna Eugenia, che dite?
EUG. Mi riporto ad un cavaliere avveduto, come voi siete.
CAV. Quando troviate oneste le mie proposizioni, eccovi in me il galantuomo, pronto a sposarvi senza bisogno per ora della vostra dote.
CON. Una simile esibizione la posso fare ancor io. La sicurezza d'aver la dote un giorno aumentata per benefizio de' figliuoli, vale lo stesso che conseguirla, nè il ritrovato del Cavaliere ha nulla di sì stravagante, ch'io non potessi quanto lui immaginarlo.
CAV. (al Conte) Il Colombo trovò l'America. Molti dopo di lui dissero ch'era facile il ritrovarla; col paragone dell'uovo in piedi, svergognò egli i suoi emuli, ed io dico a voi, che il merito della scoperta per ora è mio.
AMB. Accomodatevi fra di voi, salvo sempre la roba mia, fin ch'io vivo.
CON. Donna Eugenia è in libertà di decidere.
EUG. Conte, finora fui indifferente. Ma farei un'ingiustizia al Cavaliere, se mi valessi de' suoi consigli, per rendere altrui contento. Egli ha trovato il filo per trarmi dal labirinto. Sua deve essere la conquista.
CAV. Oh saggia, oh compitissima dama!
CON. Sia vero o falso il pretesto, non deggio oppormi alle vostre risoluzioni, e siccome, se io vi avessi sposata, non avrei sofferto l'amicizia del Cavaliere, così, sposandovi a lui, non mi vedrete mai più.
CAV. Io non sono melanconico, come voi siete. Alla conversazion di mia moglie tutti gli uomini onesti potran venire: protestandomi che di lei mi fido, e che il vostro merito non mi fa paura.
AMB. Andiamo, signor Dottore, a far un'altra scrittura, chiara e forte, sicchè, fin ch'io viva, non possa temer di niente. Voi, signor Don Fernando, andate a Mantova, e seguitate a studiare. Signor Cavaliere, fatto il contratto, darete la mano a mia nuora, e voi, signor Conte, se perdeste una tal fortuna, vi sta bene, perchè siete un Avaro.


FINE DELLA COMMEDIA



Consult the complete list of available texts.

This site uses the texts available on the web sites LiberLiber and Project Gutenberg where you can download them for free.

Share Share on Facebook Share on Twitter Bookmark on Reddit Share via mail
Privacy Policy Creative Commons Attribution-Share Alike Trovami