Senilità

Però ella gli promise formalmente che sarebbe stata sua quando si fosse potuta dare senza espor lui a fastidi né se stessa a danni. Ne parlava come della cosa più naturale di questo mondo. Anzi ebbe una trovata: bisognava cercare un terzo su cui scaricare questo disturbo, questo danno e non poche beffe. Egli stava ad ascoltare estatico queste che non gli parevano altro che dichiarazioni d'amore. C'era poca speranza di trovare quel terzo come lo voleva Angiolina, ma dopo queste parole egli credeva di poter adagiarsi tranquillo nel proprio sentimento. Ella era in verità come egli l'aveva voluta, e gli dava l'amore senza legami, senza pericolo.
Certo, per il momento tutta la sua vita apparteneva a quelamore; non sapeva pensare altro, non sapeva lavorare, neppure adempiere per bene ai suoi doveri d'ufficio. Ma tanto meglio. Per qualche tempo la sua vita assumeva tutta un aspetto nuovo, e in seguito sarebbe stato altrettanto divertente di ritornare alla calma di prima. Amante delle immagini, egli vedeva la propria vita quale una via diritta, uniforme, traverso una quieta valle; dal punto in cui egli aveva avvicinata Angiolina la strada si torceva, deviava per un paese vario d'alberi, di fiori, di colli. Era un piccolo tratto e si ridiscendeva poi a valle, alla facile via piana e sicura, resa meno tediosa dal ricordo di quell'intervallo incantevole, colorito, fors'anche faticoso.
Un giorno ella lo avvisò che doveva andare a lavorare presso una famiglia di conoscenti, certi Deluigi. La signora Deluigi era una buona donna; aveva una figlia ch'era amica d'Angiolina, un vecchio marito, e in casa non c'erano giovanotti; tutti volevano un gran bene ad Angiolina in quella casa. - Ci vado molto volentieri, perché là passo le giornate meglio che non in casa mia. - Emilio non ebbe niente da ridirci, e si rassegnò anche a vederla, di sera, meno spesso. Ella ritornava tardi dal lavoro e non valeva più la pena di trovarsi.
Perciò egli ebbe ora delle sere che poté dedicare all'amico e alla sorella. Ancora sempre egli tentava d'ingannarli - come ingannava se stesso - sull'importanza della sua avventura, ed era persino capace di voler far credere al Balli d'essere lieto che Angiolina qualche sera fosse occupata per non averla, dopo tutto, vicina ogni giorno. Il Balli lo faceva arrossire guardandolo con occhio scrutatore, ed Emilio, non sapendo dove celare la sua passione, derideva Angiolina, riferiva certe osservazioni esatte che andava facendo su lei e che veramente non attenuavano affatto la sua tenerezza. Ne rideva con sufficiente disinvoltura, ma il Balli, che lo conosceva e che nelle sue parole sentiva un suono falso, lo lasciava ridere solo.
Ella toscaneggiava con affettazione e ne risultava un accento piuttosto inglese che toscano. - Prima o poi - diceva Emilio, - le leverò tale difetto che m'infastidisce. - Ella portava la testina eternamente inclinata sulla spalla destra. - Segno di vanità, secondo il Gall - osservava Emilio, e con la serietà di uno scienziato che fa degli esperimenti, aggiungeva: - Chissà che le osservazioni del Gall non sieno meno errate di quanto generalmente si creda? - Era golosa, amava di mangiare molto e bene; poveretto colui che se la sarebbe addossata! Qui poi mentiva sfacciatamente perché egli amava altrettanto di vederla mangiare che di vederla ridere. Derideva tutte le debolezze ch'egli specialmente amava in lei. S'era molto commosso un giorno in cui Angiolina, parlando d'una donna molto brutta e molto ricca, era uscita nell'esclamazione: - Ricca? Allora non brutta. - Ci teneva tanto alla bellezza e l'abbassava dinanzi a quell'altra potenza. - Donna volgare - rideva ora col Balli.
Così, fra il suo modo di parlare col Balli e quello da lui usato con Angiolina, nel Brentani s'erano andati formando addirittura due individui che vivevano tranquilli l'uno accanto all'altro, e ch'egli non si curava di mettere d'accordo. In fondo egli non mentiva né al Balli né ad Angiolina. Non confessando il proprio amore a parole, si sentiva sicuro come lo struzzo che crede d'eludere il cacciatore non guardandolo. Quando invece si trovava con Angiolina, egli si abbandonava tutto al proprio sentimento. Perché avrebbe dovuto diminuirne la forza e la gioia con una resistenza che non aveva alcuna ragione d'essere dove non c era alcun pericolo? Egli amava, non solo desiderava! Sentiva muoversi nell'animo anche qualche cosa che somigliava a un affetto paterno, al vederla così inerme come per loro stessa natura certi disgraziati animali. La mancanza d'intelligenza era una debolezza di più, che chiedeva carezze e protezione.
S'incontrarono al Campo Marzio proprio allorché ella, adirata di non averlo trovato al posto, stava per andarsene. Era la prima volta ch'egli l'avesse fatta attendere, ma con l'orologio alla mano egli le provò di non aver tardato. Raddolcita l'ira, ella confessò che quella sera aveva avuto una speciale premura di vederlo, per cui era stata dessa ad anticipare; aveva da raccontargli delle cose tanto strane che le accadevano. Si appese affettuosamente al suo braccio: - Ho pianto tanto ieri - e si asciugò le lagrime che nell'oscurità egli non poté vedere. Non volle dirgli niente finché non fossero giunti sulla terrazza, e vi salirono a braccetto pel lungo viale oscuro. Egli non aveva alcuna premura d'arrivarci. La notizia che aveva da sentire non poteva essere cattiva visto che Angiolina ne veniva resa più affettuosa. Si fermò più volte per baciarla sulla veletta.
La fece sedere sul muricciolo, si appoggiò lievemente con un braccio sulle sue ginocchia e, per difenderla dalla pioggerella penetrante che continuava a cadere da parecchie ore, la coperse col proprio ombrello.
- Sono fidanzata - disse essa, nella voce un tentativo di nota sentimentale, rotta subito da una grande voglia di ridere.
- Fidanzata! - mormorò Emilio per un istante incredulo tanto che subito si rivolse a indagare la ragione per cui ella gli diceva quella bugia. La guardò in faccia e, ad onta dell'oscurità, vide nell'atteggiamento la sentimentalità che dalla voce era scomparsa. Doveva essere vero. A quale scopo gli avrebbe raccontato una bugia? Avevano dunque trovato il terzo di cui abbisognavano! - Sarai contento ora? - domandò ella carezzevole.
Ella era ben lontana dal sospettare quello che avveniva nell'anima sua ed egli, per pudore, non disse le parole che gli bruciavano le labbra. Ma come avrebbe potuto simulare la gioia cui ella s'attendeva! Era stato tanto violento il suo dolore che gli era occorso di sentirsi ricordare da lei che altre volte egli aveva amato di udirla parlare di quel progetto. Ma quel progetto in bocca d'Angiolina gli era sembrato una carezza. Di più egli si era baloccato con quel piano, ne aveva sognata l'attualizzazione e la conseguente felicità. Ma quanti piani non erano passati per il suo cervello senza lasciar traccia? Aveva sognato in sua vita persino il furto, l'omicidio e lo stupro. Del delinquente aveva sentito il coraggio e la forza e la perversità, e dei delitti aveva sognati i risultati, l'impunità prima di tutto. Ma poi, soddisfatto del sogno, egli aveva ritrovati immutati gli oggetti che aveva voluto distruggere, e s'era chetato, la coscienza tranquilla. Aveva commesso il delitto ma non v'era danno. Ora invece il sogno s'era fatto realtà ed egli, che pur l'aveva voluto, se ne sorprendeva, non ravvisava il suo sogno perché prima aveva avuto tutt'altro aspetto.
- E non mi domandi chi sia lo sposo?
Con improvvisa risoluzione egli si rizzò:
- Lo ami tu?
- Come puoi farmi una simile domanda! - esclamò ella veramente stupefatta. Per unica risposta baciò la mano con la quale egli teneva alto l'ombrello.
- Allora non sposarlo! - impose lui. Spiegò le proprie parole a se stesso. Egli la possedeva già; non la desiderava più. Perché per possederla altrimenti avrebbe dovuto concederla ad altri? Vedendola sempre più sorpresa, cercò di convincerla: - Con un uomo che non ami, non potresti essere felice.
Ma ella non conosceva le sue esitazioni. Per la prima volta si lagnò della propria famiglia. I fratelli non lavoravano, il padre era malato; come si faceva ad andare avanti? E non era lieta casa sua, ch'egli aveva vista alla luce del sole quando non c'erano gli uomini. Non appena venuti si bisticciavano fra di loro e con la madre e le sorelle. Certo, il sarto Volpini, quarantenne, non era il marito che s'era augurato, ma era a modo, buono, dolce, ed ella, col tempo, forse gli avrebbe voluto bene. Di meglio non avrebbe potuto trovare: - Tu, certo, mi vuoi bene, nevvero? Eppure non ammetti la possibilità di sposarmi. - Egli si commosse al sentirla parlare senz'alcun risentimento del suo egoismo.
Infatti. Forse ella faceva un buon affare. Con la consueta debolezza, non potendo convincere lei, per andare d'accordo egli procurò di convincere se stesso.
Ella raccontò. Aveva conosciuto il Volpini dalla signora Deluigi. Era un omino. - Mi arriva qui, - e accennò ridendo alla spalla. - Uomo allegro. Dice d'essere piccolo ma pieno di un grande amore. - Forse sospettando - oh, quale torto gli faceva, - ch'Emilio potesse venir morso dalla gelosia, s'affrettò ad aggiungere: - Brutto assai. Ha la faccia piena di peli del colore della paglia secca. La barba gli arriva agli occhi, anzi agli occhiali. - La sartoria del Volpini si trovava a Fiume, ma egli aveva detto che, dopo il matrimonio, le avrebbe permesso di venir a passare ogni settimana un giorno a Trieste e intanto, poiché la maggior parte del tempo egli era assente, essi avrebbero potuto continuare a vedersi tranquillamente.
- Saremo però molto prudenti - pregò lui. - Molto, molto prudenti! - ripeté. Se quella era una fortuna per lei, non sarebbe stato meglio di rinunciare addirittura a vedersi, per non comprometterla? Per tranquillare la propria coscienza inquieta, egli sarebbe stato capace di qualunque sacrificio. Prese una mano d'Angiolina, vi appoggiò la fronte e in quella posa d'adoratore disse tutto il suo pensiero: - Per non farti del male saprei rinunziare a te.
Forse essa comprese: non fece più allusioni al tradimento ch'essi avevano concertato e, per questo solo fatto, fu quella la serata in cui si fossero amati più dolcemente. Per un momento, per una sola volta, apparì portata all'altezza del sentimento d'Emilio. Non ebbe nessuna nota stonata; non gli disse neppure d'amarlo. Egli andava accarezzando il proprio dolore. La donna ch'egli amava non era soltanto dolce e inerme; era perduta. Si vendeva da una parte, si donava dall'altra. Oh, egli non poteva dimenticare la voglia di ridere ch'ella aveva manifestata al principio del loro colloquio. Se faceva a quel modo il passo più importante della sua vita, come si sarebbe comportata accanto ad un uomo che non amava?
Era perduta! Abbracciatala stretta stretta col braccio sinistro, poggiò il capo nel suo grembo e, pieno di compassione più che di amore, mormorò: - Poveretta! - Restarono così lungamente; poi ella si chinò su lui e, certo con l'intenzione ch'egli non se ne accorgesse, leggermente lo baciò sui capelli. Fu l'atto più gentile ch'ella avesse avuto durante la loro relazione.
Poi tutto divenne brusco, orribile. La pioggerella monotona, triste, che aveva accompagnato il dolore d'Emilio con una nota mite che gli era sembrata ora compianto ed ora indifferenza, si mutò improvvisamente in uno scroscio violento. Un soffio di vento freddo, dal mare, aveva sconvolta l'atmosfera pregna di acqua e venne ora a scuoterli, a toglierli dal sogno che un istante felice aveva loro concesso. Ella fu presa da una grande paura di bagnarsi il vestito, e si mise a correre dopo di aver rifiutato il braccio di Emilio; aveva bisogno di ambe le mani per tener l'ombrello contro il vento. Nella lotta col vento e con la pioggia, ella s'adirò e non volle neppur precisare quando si sarebbero rivisti: - Adesso intanto badiamo d'arrivare a casa.
La vide salire in un carrozzone della tramvia e, dall'oscurità dove rimase, scorse nella luce gialla la bella faccia imbronciata, i dolci occhi intenti a verificare i guasti fatti dall'acqua al suo vestito.



IV

Spesso, nella loro relazione, si ripeterono quegli scrosci di pioggia che lo strappavano all'incanto cui egli con tanta voluttà si abbandonava.
Di buon'ora, il giorno appresso, andò da Angiolina. Non sapeva neppur lui se ci andava a vendicarsi con qualche frase pungente del modo con cui ella l'aveva lasciato la sera innanzi, oppure a riavere intero, al colore di quel viso, il sentimento che nella notte era stato minato in lui da una dolorosa riflessione e del quale, - lo apprendeva all'ansietà che lo faceva correre fin lassù, - egli aveva oramai bisogno.
Venne ad aprirgli la porta la madre di Angiolina, la quale l'accolse con le solite parole gentili, la fisionomia immobile di cartapecora, la voce brutalmente sonora. Angiolina stava vestendosi e sarebbe venuta subito.
- Che gliene sembra? - domandò la vecchia tutto ad un tratto. Gli parlò del Volpini. Sorpreso che anche la madre volesse la sua approvazione al matrimonio di Angiolina, egli esitò ed ella, ingannandosi sulla natura del dubbio che gli vedeva scritto in faccia, cercò di convincerlo. - Capirà. E' una fortuna per Angiolina. Se anche non gli vorrà tanto bene, avrà una vita tranquilla, lieta, perché egli è molto innamorato. Bisogna vederlo! - Ebbe un risolino breve e rumoroso ma che le contrasse le sole labbra. Si capiva ch'era soddisfatta.
Fini di compiacersi di vedere come Angiolina avesse fatto comprendere alla madre quanto ci tenesse al suo consenso; lo diede con parole generose. Gli doleva che Angiolina ne sposasse un altro, ma visto ch'era per suo bene... L'altra ebbe un altro risolino, ma questo più sulla faccia che nella voce e a lui parve ironico. Che la madre sapesse anche dei suoi patti con la figlia? Neppure questo non gli sarebbe dispiaciuto tanto. Perché avrebbe dovuto dolersi di quelle risatine destinate all'onesto Volpini? Certo era che qui non poteva essere lui il deriso.
Angiolina venne vestita di tutto punto per uscire, aveva fretta perché alle nove doveva trovarsi dalla signora Deluigi. Egli non volle lasciarla subito perciò, per la prima volta, camminarono insieme per la via, alla luce del sole.
- Mi pare che siamo una bella coppia - disse ella sorridendo vedendo che ogni passante aveva un'occhiata per loro. Era impossibile passarle accanto e non guardarla.
Anche Emilio la guardò. Il vestito bianco, che esagerava il figurino d'allora, la vita strettissima, le maniche allargate, quasi palloni rigonfi, domandava l'occhiata, era stato fatto per conquistarla. La testa usciva da tutto quel bianco, non oscurata da esso, ma rilevata nella sua luce gialla e sfacciatamente rosea, alle labbra una sottile striscia di sangue rosso che gridava sui denti, scoperti dal sorriso lieto e dolce gettato all'aria e che i passanti raccoglievano. Il sole le scherzava nei riccioli biondi, li indorava e incipriava.
Emilio arrossì. Gli parve di poter leggere negli occhi di ogni passante un giudizio ingiurioso. La guardò ancora. Evidentemente ella aveva nell'occhio per ogni uomo elegante che passava, una specie di saluto; l'occhio non guardava, ma vi brillava un lampo di luce. Nella pupilla qualche cosa si moveva e modificava continuamente l'intensità e la direzione della luce. Quell'occhio crepitava! Emilio si attaccò a questo verbo che gli parve caratterizzasse tanto bene l'attività in quell'occhio. Nei piccoli movimenti rapidi, imprevedibili della luce, pareva di sentire un lieve rumore.
- Perché civetti? - chiese egli costringendosi ad un sorriso. Senz'arrossire e ridendo, ella rispose: - Io? Ho gli occhi per guardare, io. - Ella era dunque consapevole del movimento del suo occhio; s'ingannava soltanto dicendolo «guardare». Poco dopo passò un impiegatuccio, certo Giustini, bel giovinetto che Emilio conosceva di vista. L'occhio di Angiolina si ravvivò ed Emilio si volse a guardare il fortunato mortale ch'era già passato. L'impiegatuccio s'era fermato a guardarli. - S'è fermato a guardarmi, eh? - chiese essa sorridendo lieta.
- Perché te ne compiaci? - chiese egli con tristezza. Ella non lo comprese neppure. Poi, con astuzia, volle fargli credere ch'ella di proposito cercasse di renderlo geloso, e, infine, per quietarlo, spudoratamente, alla luce del sole fece con le labbra rosse una smorfia che voleva rappresentare un bacio. Oh, ella non sapeva fingere. La donna ch'egli amava, Ange, era sua invenzione, se l'era creata lui con uno sforzo voluto; essa non aveva collaborato a questa creazione, non l'aveva neppure lasciato fare perché aveva resistito. Alla luce del giorno il sogno scompariva.
- Troppa luce! - mormorò egli abbacinato. - Andiamo all'ombra.
Essa lo guardò con curiosità vedendogli il viso sconvolto: - Il sole a te fa male? Mi dicono infatti che ci sono delle persone che non lo possono sopportare. - Come ella aveva torto d'amare il sole.
Al momento di separarsi, egli le chiese: - E se Volpini risapesse di questa nostra passeggiata traverso la città?
- Chi gliel'avrebbe a dire? - disse essa con grande calma Gli direi che tu sei un fratello o un cugino della Deluigi. Egli non conosce nessuno a Trieste, ed è quindi facile fargli credere ciò che si vuole.
Quando si separarono, egli volle ancora analizzare le proprie impressioni e camminò solo, senza direzione. Un lampo d'energia rese il suo pensiero rapido e intenso. S'era imposto un problema e subito lo risolse. Avrebbe fatto bene a lasciarla immediatamente e non rivederla più. Non poteva più ingannarsi sulla natura dei propri sentimenti, perché il dolore che poco prima aveva provato era troppo caratteristico con quella vergogna per lei e per se stesso.
S'avvicinò a Stefano Balli col proposito di fargli una promessa per cui la sua risoluzione fosse resa irrevocabile. Invece la vista dell'amico bastò a fargliela abbandonare. Perché non si sarebbe potuto divertire anche lui con le donne come faceva Stefano? Ricordò quale sarebbe stata la sua vita senz'amore. Da una parte la soggezione al Balli, dall'altra la tristezza d'Amalia, e null'altro. E non gli parve d'essere meno energico ora che poco prima; anzi, ora voleva vivere, godere anche a costo di soffrire. Avrebbe dimostrato energia nel modo con cui avrebbe trattato Angiolina, non nel fuggirla vigliaccamente.
Lo scultore lo accolse con una bestemmia brutale: - Sei vivo ancora? Bada che se, come sembrerebbe dalla tua faccia contrita, ti avvicini per chiedermi un favore, sprechi fatica e fiato. Bastardo!
Gli gridava nelle orecchie comicamente minaccioso, ma Emilio fu liberato da ogni dubbio. L'amico, parlandogli d'appoggio, gli aveva dato un buon consiglio; e chi meglio del Balli avrebbe potuto soccorrerlo in quei frangenti? - Te ne prego supplicò, - avrei un consiglio da chiederti.
L'altro si mise a ridere. - Si tratta d'Angiolina, nevvero? Non voglio saperne di cose che la concernono. E capitata fra noi a dividerci e ci stia, ma non mi secchi altrimenti.
Avrebbe potuto essere più brusco ancora che Emilio cionondimeno non avrebbe rinunziato ad averne il consiglio. Da quello doveva risultare la salvezza; Stefano, che tanto bene se ne intendeva, gli avrebbe indicata lui la via da seguirsi per continuare a godere senza più soffrire. In un solo istante giunse così dall'altezza di quel suo primo virile proposito alla più bassa abiezione: la coscienza della propria debolezza e la perfetta rassegnazione alla stessa. Chiamava aiuto! Avrebbe voluto conservare almeno l'aspetto della persona che domanda un semplice consiglio tanto per udire un parere altrui. Per un effetto meccanico, invece, quei gridi nelle orecchie lo resero supplichevole. Avrebbe avuto grande bisogno di venir accarezzato.
Stefano ne ebbe compassione. Lo prese ruvidamente pel braccio e lo trascinò seco verso la Piazza della Legna ove aveva lo studio. - Sentiamo. Se c'è aiuto possibile, sai bene ch'io te lo darò.

...continua


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