I vecchi e i giovani

- Tutto quello che si è potuto raccogliere, tra le fiamme. Niente! quasi niente!
- Oh figlio!
- Che volete più scartare, distinguere? Si arrivò troppo tardi. Alla stazione non c'erano guardie. Prima che arrivasse il delegato d'Aragona, il fuoco... Niente, vi dico... qualche residuo d'ossa...
- Oh figlio!
- Non si conosce più nulla... Sì, sì, pover'uomo, sì, piangete, piangete, che è meglio... Povero Costa, sì... sì... È una cosa che... oh Dio, oh Dio, che cosa... sì, fa rinnegare l'umanità! Ma voi pensate, per levarvi almeno questa spina dal cuore, pensate che lì non c'è... vostro figlio lì non c'è: non c'è più niente lì... E del resto, poverino, pensate che quella donna, se voi la odiate, egli la amò; e forse non gli dispiace adesso, che ciò che di lui ci può essere là dentro, sia insieme, mescolato, coi resti di lei... Povera donna! Avrà avuto i suoi torti, ma via, che sorte anche la sua!
- No... no... lei... non posso... non posso parlare... lei... a perdizione... mio figlio... lei! Ma non sapete, signor commissario, che mio figlio era amato dalla figlia del principale? Si sa sicuro... sicuro, questo... è impazzita quella povera figlia mia, come la mamma! È stata... è stata tutta una macchina... Costei e quell'assassino del padre... che se la intendevano tra loro... per rovinare questo figlio mio... per toglierlo all'amore di quella santa creatura... Oh, signor commissario, legatemi, legatemi le braccia; signor commissario, chiudetemi, chiudetemi in prigione, perché se io lo vedo, quell'assassino che mi ha fatto morire il figlio così, io lo ammazzo, signor commissario, io non rispondo di me, lo ammazzo! lo ammazzo!
Il cavalier Franco intrecciò le mani, le strinse, le scosse piú volte in aria:
- Ma vi pare, - gli gridò poi, con gli occhi sbarrati - vi pare, scusate, che io debba sentire simili spropositi? Vi compatisco, siete arrabbiato dal dolore e non sapete più quel che vi dite. Ma perdio, vostro figlio, vostro figlio... in un momento come questo, che basta un niente... una favilla, a mandare in fiamme tutta la Sicilia... non si contenta di prender la fuga come un ragazzino con la moglie d'un deputato... ma va a cacciarsi da sé, là, come a dire: «Eccoci qua, fateci a pezzi! Cercate l'esca? Eccola qua! Ci siamo noi!» Perdio, bisogna esser pazzi, ciechi... io non so! Con chi ve la prendete? E noi siamo qua a dover rispondere di tutto... anche d'una pazzia come questa! E per giunta, mi tocca di sentire anche voi: «ammazzo! ammazzo! ammazzo!» Chi ammazzate? Credete che il Salvo, se pur è vero tutto quel che voi farneticate, ha bisogno della vostra punizione? Gli basta la pazzia della figlia!
Il Costa, dopo questa sfuriata, non ebbe più ardire di parlar forte; lo guardò con gli occhi invetrati di lagrime; e si morse un dito; mormorò:
- Se fosse capace di rimorso, signor commissario! Ma non è!
Il cavalier Franco si scrollò; uscì dalla stanza.
- Andate, andate... - gli disse dietro, il Costa; poi cauto, s'appressò alla cassetta deposta su la tavola, e si provò ad alzarla.
Un groppo di singulti muti, fitti, nella gola e nel naso, gli scrollarono in convulsione la testa.
Non pesava, non pesava niente, quella cassetta!
S'inginocchiò davanti alla tavola, appoggiò la fronte al freddo di quella latta, e si mise a gemere:
- Figlio!... figlio... figlio!...

Due giorni dopo, arrivò a Girgenti, inatteso, funebre, l'on. Ignazio Capolino.
La condizione, in cui lo aveva messo non tanto forse la sciagura improvvisa quanto lo scatto violento per cui Dianella Salvo aveva perduto la ragione, era così difficile e incerta, che egli aveva bisogno di raccogliere a consulto, lì sul posto, tutte le sue forze per trovare una via da uscirne in qualche modo, al più presto. Lo scandalo della fuga della moglie era soffocato nell'orrore della morte; il tragico, che spirava da questa morte, lo rendeva immune dal ridicolo che poteva venirgli da quella fuga. Bastava dunque presentarsi ai suoi concittadini compunto nell'aspetto, ma nello stesso tempo austeramente riservato, per trarre profitto della commozione generale, senza tuttavia parteciparvi, giacché dalla moglie era stato offeso. La simpatia degli altri doveva venirgli come giusto e meritato compenso a questa offesa. E dovevano tutti vedere che egli soffriva, schiantato dall'atrocissimo fatto, e che lui più di tutti meritava compianto, poiché finanche dalle due vittime tanto commiserate era stato offeso, così da non poter piangere, neanche piangere ora la sua sciagura!
Eppure... come mai? Rientrando in casa, in quella casa che le squisite e sapienti cure della moglie avevano reso così bene adatta alla commedia di garbate e graziose menzogne, alla gara di compitezze ammirevoli, nella quale entrambi avevano preso tanto gusto a esercitarsi perché la loro vita non fosse troppo di scandalo agli altri, troppo disgustosa a loro stessi; e sentendo nel silenzio cupo delle stanze, rimaste con tutti i mobili come in attesa, il vuoto, il vuoto in cui dal primo momento della sciagura si vedeva perduto... - come mai? - nell'aprir la camera da letto e nell'avvertirvi affievolito, ma pur presente ancora, il voluttuoso profumo di lei, ecco, per un irresistibile impeto che lo stordì per la sua incoerenza, ma che pur gli piacque come un ristoro insperato di accorata tenerezza - pianse, sì, pianse per il ricordo di lei, pianse per la prima volta dopo l'annunzio di quella morte, pianse come non aveva mal pianto in vita sua, sentendo in quel pianto quasi un dolore non suo, ma delle sue lagrime stesse che gli sgorgavano dagli occhi senza ch'egli le volesse, ma, appunto perché non le voleva, con tanto sapor di dolcezza e di refrigerio!
Non doveva però, no, no, non doveva... perché... si fermò un momento a considerare perché non avrebbe dovuto piangerla. Non era stata forse la compagna sua necessaria e insurrogabile? la compagna preziosa dei suoi sottili e complicati accorgimenti, la quale, correndo - più per sé, forse, quella volta, che per lui - a un riparo a cui anch'egli però l'aveva spinta - era caduta? Sì, e così orribilmente, così orribilmente caduta! Eppure, no; apparentemente, ecco, almeno apparentemente non doveva piangerla... Così in segreto sì, anche perché quel pianto gli faceva bene, ora. Era restato solo; e da sé solo, ora, doveva ajutarsi, difendersi; e non sapeva ancora, non vedeva come.
Piangendo, no, intanto, di certo!
E Capolino sorse in piedi; si portò via, prima con le mani, poi a lungo, col fazzoletto, accuratamente, le lagrime dagli occhi, dalle guance; si rimise le lenti cerchiate di tartaruga, e si presentò, fosco, severo, aggrondato, allo specchio dell'armadio.
Dio, come il suo viso era sbattuto, invecchiato in pochi giorni!
Il dolore? Che dolore? Non poteva riconoscere d'aver provato dolore... se non forse or ora, un poco. Ma no, anche prima, in fondo, aveva certo dovuto provarne uno e ben grande, se a Roma, all'annunzio della sciagura, era stato accecato da quella rabbia che lo aveva scagliato su Dianella Salvo.
Doveva pentirsi di quello scatto?
Si era con esso attirato per sempre l'odio, la nimicizia mortale del Salvo. Ma se pur fosse riuscito a reprimersi in quel primo momento, a vietarsi la soddisfazione feroce di quella vendetta, che avrebbe ottenuto? A lui, restato solo, senza più la moglie, avrebbe forse Flaminio Salvo seguitato a dare ajuto e sostegno, per il rimorso e la complicità segreta nel sacrifizio di quella? Forse la figlia, già inferma, sarebbe impazzita anche senza quel suo scatto, al solo annunzio della morte del Costa. E allora? Flaminio Salvo avrebbe creduto di pagare già abbastanza con la pazzia della figliuola; e per lui non avrebbe avuto più alcuna considerazione; anzi lo avrebbe respinto da sé, come lo spettro del suo rimorso. Caso pensato. Se poi Dianella non fosse impazzita e si fosse a poco a poco quietata, era uomo Flaminio Salvo, avendo raggiunto lo scopo, da restar grato alla memoria di chi gliel'aveva fatto raggiungere, a costo della propria vita; e, per essa, al marito, rimasto vedovo? Ma se già, subito, per scrollarsi d'addosso ogni responsabilità, subito aveva gridato ai quattro venti che Nicoletta Capolino e Aurelio Costa avevano preso la fuga e che il Costa s'era licenziato ed era andato dunque a morire per conto suo, ad Aragona, insieme con l'amante! Sì: fuggita col Costa, sua moglie; ma chi l'aveva spinta a commettere questa pazzia? Chi aveva spedito a Roma il Costa con la scusa di quel disegno da presentare al Ministero? Chi aveva aizzato la gelosia, o piuttosto, il puntiglio di lei, facendole balenare prossimo il matrimonio della figlia col Costa? Ed egli, Capolino, egli, il marito, aveva dovuto prestarsi a tutte queste perfide manovre che dovevano condurre a una tale tragedia; così, è vero? per restar poi abbandonato, senza più alcuna ragione d'ajuto, raccolto il frutto di tante scellerate perfidie! Ah, no, perdio! Di quel suo scatto non doveva pentirsi. Se egli aveva perduto la moglie, e lui la figlia! Pari, e di fronte l'uno all'altro. Ora il Salvo gli avrebbe soppresso ogni assegno. Toccava a lui, dunque, di provvedere subito anche ai bisogni più immediati. E ogni credito presso gli altri, con l'amicizia del Salvo, gli veniva meno. Che fare? Come fare?
Così pensando, Capolino brancicava con le dita irrequiete la medaglietta da deputato appesa alla catena dell'orologio. Aveva per sé, ancora, il prestigio che gli veniva da quella medaglietta. Per ora, il Salvo non poteva strappargliela dalla catena dell'orologio. E con essa, per uno che valeva, se non più, certo non meno del Salvo in paese, egli era ancora il deputato. Don Ippolito Laurentano non avrebbe permesso, che colui che rappresentava alla Camera il paladino della sua fede, si dibattesse tra meschine difficoltà materiali.
Ecco: subito, prima che Flaminio Salvo arrivasse a Girgenti e si recasse a Colimbètra a preoccupare l'animo del principe contro di lui, egli vi correrebbe e parlerebbe aperto a don Ippolito della perfidia di colui. Dopo tanti mesi di convivenza con donna Adelaide, non doveva il principe essere in animo da tenere più tanto dalla parte del cognato; oltreché, in favor suo, egli avrebbe in quel momento la commiserazione per la sua sciagura. Poteva, sì, contro a questa, il Salvo porre in bilancia quella della propria figliuola; ma appunto su ciò egli andrebbe a prevenire il principe, dimostrandogli che non lui, con quel suo scatto naturale e legittimo, nella rabbia del cordoglio, era stato cagione di quella pazzia; ma il padre, il padre stesso che con tanta violenza aveva voluto impedire che la figlia sposasse il Costa, sacrificando costui e distruggendolo insieme con la moglie. Ora, per sgabellarsi d'ogni rimorso, voleva gettar la colpa addosso a lui, e anche di lui sbarazzarsi, come già del Costa e della moglie.
Ecco il piano! Ma né quel giorno, né il giorno appresso, Capolino ebbe tempo di recarsi a Colimbètra ad attuarlo. Una processione ininterrotta di visite lo trattenne in casa, con molta sua soddisfazione, quantunque sapesse e vedesse chiaramente che più per curiosità che per pietà di lui si fosse mossa tutta quella gente, la quale certo, domani, a un cenno del Salvo, gli avrebbe voltato le spalle. A ogni modo, andando dal principe, avrebbe potuto parlare di questo solenne attestato di condoglianza e di simpatia dell'intera cittadinanza; oltreché, in tanti animi che, per la commozione del tragico avvenimento, eran come un terreno ben rimosso e preparato, poteva intanto seminar odio per il Salvo, così senza parere.
- Non me ne parlate, per carità! - protestava, alterandosi in viso al minimo accenno. - Dovrei dir cose, cose che... no, niente; per carità, non mi fate parlare...
E se qualcuno, esitante, insisteva:
- Quella povera figliuola...
- La figliuola? - scattava. - Ah, sì, povera, povera vittima anche lei! Non sopra tutte le altre, però, certo... Per carità, non mi fate parlare...
Il salotto era pieno zeppo di gente quando entrò il D'Ambrosio, quello che gli aveva fatto da testimonio nel duello col Verònica e che era lontano parente di Nicoletta Spoto. Avvenne allora una scena che, neanche se Capolino l'avesse preparata apposta, gli sarebbe riuscita più favorevole.
Il D'Ambrosio entrò tutto gonfio di commozione, e con le braccia protese. In piedi, tutti e due si abbracciarono in mezzo alla stanza, si tennero stretti un pezzo piangendo forte. Forte, con la sua abituale irruenza, parlò il D'Ambrosio, staccandosi dall'abbraccio:
- Dicono tutti, qua, che Nicoletta mia cugina era la ganza di quell'imbecille del Costa: è vero? Tu puoi dirlo meglio di tutti: è vero?
Sbigottiti, gli astanti si volsero a guatare il Capolino.
Questi cadde a sedere, come trafitto, su la poltrona, con le braccia abbandonate su le gambe, e scosse amaramente il capo. Poi, facendo un atto appena appena con le mani, parlò:
- Troppe... troppe cose dovrei dire, che non posso... Anche la pietà, capirete... sì, sì... anche queste lacrime, amici, mi bruciano! Perché anche da quei due che le meritano per la loro sorte, ma da voi, cari, da voi; non da me... anche da quei due io ebbi male; ma sopra tutto da chi li guidò a quel passo; da chi li teneva in pugno, e...
- Il Salvo! - proruppe il D'Ambrosio. - Hanno arrestato ad Aragona Marco Prèola; ma lui, il Salvo, per la Madonna, debbono arrestare! lui affamò là tutto il paese! lui è il vero assassino! E giustamente Dio l'ha punito, con la pazzia della figlia! Così, tra due pazze, se ne starà ora con tutte le sue ricchezze!
Capolino, allora, scattò in piedi, sublime.
- Ma per carità! no! no! Non posso permettere che si dicano di queste cose alla mia presenza! Vuoi difendere quegli assassini? Via! Sappiamo tutti che il Salvo era nel suo diritto, chiudendo là le zolfare! Ognuno provvede, come sa e crede, ai proprii interessi. E, del resto, non si è forse adoperato in tanti modi qua, al risorgimento dell'industria? No, no! Signori miei, vedete? parlo io, io, in questo momento, e arrivo fino a dirvi che egli, dal suo canto, anche come padre, ha creduto di agire per il bene della figliuola! Voi tutti non avete alcuna ragione per non riconoscer questo; potrei non riconoscerlo io, io solo, perché i mezzi di cui si è servito mi hanno distrutto la casa, spezzato la vita! Ma egli mirava, là, al bene di tutti quei bruti; e qua, al bene della sua figliuola!
Dieci, quindici, venti mani si tesero a Capolino, in un prorompimento d'ammirazione per così magnanima generosità; e Capolino si sentì levato d'un cubito sopra se stesso.
- Forse mi vedrò costretto, - soggiunse con triste gravità, - a restituirvi il mandato, di cui avete voluto onorarmi.
- No! no! che c'entra questo? E perché? - protestarono alcuni.
Capolino, sorridendo mestamente, levò le mani ad arrestare quell'affettuosa protesta:
- La condizione mia, - disse. - Considerate. Potrei più aver rapporti, non dico di parentela o d'amicizia, ma pur soltanto d'interessi, con Flaminio Salvo? No, certo. E allora? Devo provvedere a me stesso, signori miei, mentre il mandato che ho da voi esige un'assoluta indipendenza, quella appunto che avevo per i miei ufficii nel banco del Salvo. Ora... ora bisognerà che mi raccolga a pensar seriamente ai miei casi. Non son cose da decidere così su due piedi e in questo momento.
- Ma sì! ma sì! - ripresero quelli a confortarlo a coro. - Questi sono affari privati! La rappresentanza politica...
- Eh eh...
- Ma che! non c'entra...

...continua


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