Il turno

- Nient'affatto! - negò di nuovo, più vivamente, Ciro, adirandosi. - Lui ha creduto e crede d'agire per il bene della figlia. Ma ciò non toglie che non abbia commesso un delitto... Pepè, non mi guardare in bocca con codesta faccia da scimunito: mi dài ai nervi, te l'ho già detto. Ritorniamo al lavoro. Siedi e scrivi!
Pepè era diventato lo scrivano e il galoppino di Ciro. La felicità sua, in quei giorni, era soltanto turbata dalla costernazione costante, anzi dalla paura di non contentare in tutto e per tutto il cognato che lo comandava a bacchetta, e per cui ora sentiva una riconoscenza illimitata, pur sapendo che egli non si era messo così accanitamente in quella briga per lui, bensì per ispirito d'autorità e di giustizia. E lo ammirava e, sorridendo tra sé e stropicciandosi le mani dalla gioja, ripeteva la frase preferita dal Coppa:
- Prepotenze, neanco Dio!
Ma ecco, intanto, si distraeva. - Al lavoro! al lavoro! - Non doveva pensare a nulla, fino a tanto che la lite non fosse vinta, fino al giorno in cui Stellina non fosse sua... lì, li, in quella stessa casa, proprio li... E Pepè, in un impeto d'amore, si stringeva e baciava le mani, come fossero quelle di Stellina.
Aveva fatto il giro di tutto il vicinato del Ravì, per raccogliere testimonianze a sostegno del processo che Ciro imbastiva. Quando alla fine la maggior parte del lavoro fu abbozzata, il Coppa volle ch'egli si recasse anche da don Diego Alcozèr per invitarlo a un abboccamento.
- Onoratissimo dell'invito, - disse don Diego a Pepè. - Eccomi pronto. Sono con voi.
Ciro lo accolse con molto garbo; e don Diego, grato di quell'accoglienza, volle toglier subito all'ospite l'imbarazzo di certe domande difficili, entrando lui per primo nell'argomento.
- Lor signori sono giovani, rispetto a me, - disse, rivolgendosi pure a l'Alletto, - e perciò potrebbero anche aspettare. Ma io son vecchio, e mi preme di uscire di questa briga quanto più presto sia possibile. Quonam pacto? Sono dispostissimo a tutto, signor avvocato. Mi suggerisca lei.
Ciro rimase a guardarlo, intento, un tratto, tra la sorpresa e la diffidenza. Poi, per provarlo subito, gli disse:
- Ma... ecco... ci sarebbe da fare semplicemente... se lei volesse aver la bontà... una... una...
- Dichiarazioncina?... - suggerì l'Alcozèr, accompagnando la parola col sorrisetto frigido che Pepè gli conosceva. E aggiunse: - Una domanda. Sarà discussa a porte chiuse la causa?
- Certo, - rispose Ciro. - Se lei lo vuole... Sarebbe, in fondo, considerando gli anni, a cui ella ha avuto la fortuna di pervenire, sarebbe un lieve sacrificio di vanità.
- Non ne ho, di questo genere... - lo interruppe argutamente il vecchietto. - Sarei ridicolo, all'età mia. Però, siccome codesto sacrificio che lei dice potrebbe forse, in certo qua! modo, danneggiarmi per l'avvenire... per quei pochi giorni che mi restano di questa sciocca fantocciata che chiamiamo vita... ecco, se ci fosse qualche altro rimedio...
- Questo, - osservò il Coppa, ammirando la filosofica schiettezza con cui l'Alcozèr trattava la questione, e vedendolo inchinevole a cedere, - questo sarebbe il mezzo più sicuro, più sbrigativo.
- Ebbene, - si rimise don Diego, scrollando le spalle e sorridendo, - pur d'uscirne...
Così, non ponendo egli, ch'era la parte più interessata, nessun impegno in contrario, la lite, per le brighe, le raccomandazioni e le sollecitudini di Ciro, venne presto in Tribunale, e fu discussa a porte chiuse.
Una moltitudine di curiosi sfaccendati attendeva impaziente il giudizio. Pepè Alletto aveva la febbre addosso e smaniava, senza un minuto di requie, dietro la porta chiusa, non ostante che l'usciere di guardia di tanto in tanto lo esortasse a far buon animo:
- Dia ascolto a me che me n'intendo: causa vinta! La porta finalmente s'aprì. Ciro, raggiante, annunziò la vittoria. Scoppiarono applausi e grida. Batteva le mani, ridendo, anche don Diego Alcozèr. Ma don Marcantonio uscì dalla sala del Tribunale scotendo il testone raso, coi denti serrati, mentre abbondanti lagrime gli rigavano la faccia congestionata:
- Figlia mia! figlia mia! Mi hanno assassinato una figlia!
Pepè volle abbracciare il cognato; ma questi, nell'ebbrezza del trionfo, eccitato dagli applausi, lo respinse con un gesto furioso.
Il Presidente del Tribunale, scampanellando, fece sgombrare il corridojo; ma, per via, la folla cresciuta continuò a batter le mani, e Ciro parlò:
- Eroi i padri, o signori, che per render propizia la divinità alle nobili imprese della patria sacrificavan le figlie! Ma che dire d'un padre che, per loschi fini, la propria figlia sacrifica al dio Mammone?
- Mammone! Mammone! Abbasso Mammone! - gridò la folla, tra le risa e gli applausi.
E, da quel giorno, il Ravì fu chiamato da tutto il paese Marcantonio Mammone.



XXIII

Pepè Alletto si era spiegato l'impegno posto da Ciro nel condurre a buon fine l'impresa, come effetto dell'eccessiva indole di lui. Quando però lo vide tutto inteso a sgomberar la casa della mobilia vecchia per comperarne altra nuova, cominciò a entrar davvero in sospetto non gli avesse dato di volta il cervello.
" Possibile che faccia tutto questo per me? " Intanto non ardiva domandargli nulla. Dopo la vittoria, Ciro, anziché mostrarsi lieto, diventava di giorno in giorno più cupo.
- Pepè, - gli disse una mattina, tirandolo per la giacca, in disparte, con gli occhi foschi. - Devi dirmi la verità: prometti prima però, che me la dirai. Se menti, guaj a te: non ti dico altro.
Pepè, contento in fondo che si venisse a una spiegazione, benché il modo un po' lo apprensionisse, promise.
- Non so più da quanti giorni - riprese Ciro, - ho perduto la pace. Ricordo che tu una volta mi dicesti che Mauro Salvo, quel buffone, corteggiava Stellina. E` vero?
- E` vero; ma, non corrisposto! - rispose Pepè, cercando con un sorrisetto d'appianar la ruga minacciosa su la fronte di Ciro.
- Giuralo! - esclamò questi.
- Che vuoi che giuri? - disse Pepè. - Lo so io, e basta.
- Sai che Stellina non rispose mai, mai, minimamente, alla corte del Salvo?
- Ma sì! ma sì!
- Giuralo!
- Ebbene, lo giuro!
Ciro si mise a passeggiare per lo studio, col mento sul petto e le mani in tasca; insoddisfatto, fosco.
- Che vai pensando?... - riprese Pepè. - Ti angustii proprio senza ragione... d'una cosa che, se vuoi, torno a giurarlo, non ha ombra di fondamento... E mi pare che io possa saperlo.
- Tu non sai nulla! - gli gridò Ciro, fermandosi a fulminarlo con gli occhi.
Pepè si strinse nelle spalle.
- Come vuoi tu... Io ero là...
- Ah, eri là, - irruppe Ciro, col volto contratto dalla rabbia. - Eri là, lo sai dire... e con te tant'altri buffoni! Quella era dunque la casa di tutti... E Stellina là, in mezzo a voi, mentre il vecchio dormiva...
- Eravamo là tutti, è vero, - ammise Pepè, - ma non si faceva nulla di male... Tu sei geloso, e non puoi intenderlo... Si scherzava innocentemente, e...
- L'innocenza, imbecille, partorisce i figliuoli! - lo interruppe Ciro, furibondo. - Qualcosa, certo, dev'esserci sotto; come ti spieghi altrimenti che io ho dovuto combattere fin oggi per farla addivenire al matrimonio? Come te lo spieghi?...
- Me lo spiego, - disse Pepè, cercando le parole, - me lo spiego... considerando che la poverina... ha tanto patito... Ma io, per dirti la verità, non me lo sarei aspettato... Ah, non voleva più saperne?
- Voleva farsi monaca, - rispose, cupo, Ciro.

...continua


Consult the complete list of available texts.

This site uses the texts available on the web sites LiberLiber and Project Gutenberg where you can download them for free.

Share Share on Facebook Share on Twitter Bookmark on Reddit Share via mail
Privacy Policy Creative Commons Attribution-Share Alike Trovami