La giara

Ma Geremia, placido placido, si cacciò una mano nella tasca interna della giacca, ne trasse un foglio di carta protocollo ripiegato in quattro e glielo porse.
- Che significa? - fece Camposoldani, guardando quel foglio spiegazzato, senza prenderlo.
Geremia si strinse nelle spalle e rispose:
- Non c'e altro...
- E che è questo?
- Non so. L'ha portato un ragazzino...
Camposoldani, con le ciglia aggrondate, prese rabbiosamente il foglio; lo spiegò; cominciò a leggere; a un tratto alzò gli occhi a fulminare Geremia.
- Ah! Hai fatto questo?
Era una domanda firmata da venticinque socii, perché fosse indetta al più presto un'adunanza. Capolista, il professor Agesilao Pascotti.
Geremia si portò le mani tremicchianti al petto e aprendo le squallide labbra al solito sorrisetto mesto e ragionevole:
- Io? - sospirò con un filo di voce. - Che c'entro io?
- Pezzo d'imbecille! - proruppe allora Camposoldani. - E giusto al Pascotti ti sei rivolto?
- Io?
- Che ti figuri che ci guadagnerai adesso? Vogliono i conti? Ma subito! Comincerai dal risponderne tu, intanto!
- Io?
- Tu, tu per il primo, caro! tu che da tant'anni vai seminando le ricevute delle tasse mensili senza riscuoterne l'importo! Pezzo d'imbecille, sono tutti morosi questi firmatarii qua, tutti... Cardilli, Voceri, Spagna, Falletri, Romeggi... Toh! uno solo no! Concetto Sbardi... O dove sei andato a pescarlo costui? Non sta in Abruzzo? Quello che scrive idega! È a Roma? Ah, è venuto qua? E ti sei rivolto a lui?
Investito così, il povero vecchio s'era provato più volte a interromperlo, con le mani protese, battendo continuamente le palpebre su gli occhietti acquosi. Pareva cascato dalle nuvole! Non sapeva nulla di nulla, proprio... Se la prendeva con lui?
All'improvviso sorse in mezzo, tra i due, Tudina, che ormai non pareva più lei. Gonfia, scarduffata, imbruttita, si levò davanti a Camposoldani come l'immagine viva dell'infamia commessa, del laido delitto di cui s'era macchiato. Che c'entrava il patrigno in quell'istanza? Che interesse poteva avere a metter su i socii contro di lui?
- E allora? - fece Camposoldani.
Come, donde era venuta fuori quell'istanza? a chi era saltato quel grillo? Per qual ragione, così tutt'a un tratto? Gente che non pagava più, gente che non s'era fatta più viva da tanto tempo...
Grattandosi nervosamente la bella barba nera spartita sul mento. Camposoldani s'immerse a considerare di nuovo quell'istanza che, dalla prima firma, poteva argomentarsi scritta tutta di pugno dal Pascotti stesso; lesse, rilesse più volte quella filza di nomi; alla fine levò il volto sorridente verso Geremia.
- Pascotti? - domandò quasi a se stesso.
E di nuovo si mise a considerare le firme. Una sola gli dava ombra: quella dello Sbardi abruzzese. Aveva sempre pagato, costui, puntualissimamente. Come si trovava lì con quegli altri a schiera? Gli faceva l'effetto d'un lupo tra un branco di pecore. Sì, era lui il nemico; lui, senza dubbio... Era venuto a Roma, era andato a trovare il Pascotti già vicepresidente, e tutti e due... Che volevano da lui? I conti? Padronissimi. Ma se lo Sbardi era andato a trovare Pascotti per eleggerlo comandante supremo della battaglia, era segno che, per lo meno, non sapeva parlare. E se mancava a lui il coraggio dell'accusa, il coraggio più difficile, lo avrebbe avuto il rotondo Pascotti? Via! Lo faceva ridere Pascotti.
Di nuovo Camposoldani levò il volto sorridente verso Geremia.
- I conti... - disse.
- I... i conti? - balbettò il vecchio. - Da me?
Camposoldani lo guatò, come se quella ingenua domanda che i socii volessero i conti da lui Geremia, gli avesse fatto balenare qualche idea.
- Da te... da me.... vedremo - disse.
E si ritirò nella sua cameretta.
Più tardi Geremia fu mandato in giro a distribuire gli inviti all'adunanza per la sera del giorno successivo. Era come intronato e pareva che le gambe gli si fossero stroncate sotto.
Camposoldani rimase tutto il giorno all'Associazione a preparare la difesa. Aveva avuto la debolezza di pagare alcuni debiti che lo opprimevano; e questa sottrazione si poteva mascherare benissimo col viaggio che diceva d'aver fatto in Germania per studiare l'organismo dei Circoli di Cultura, fiorentissimi, come tutti sapevano, in quel paese. Poi c'erano le spese per la sede sociale, arredo, pigione; le spese per la pubblicazione del Bollettino; lo stipendio di Geremia... che altro? ah, le spese di viaggio per le inaugurazioni... spese che, venuto meno quasi del tutto l'introito delle rate mensili dei socii, avevano naturalmente assottigliato il fondo della tombola telegrafica. Tutto sommato però, quanto restava?
Camposoldani tirò la somma. Pur largheggiando nelle spese, pure arrotondando più volte le cifre, la somma totale era ben lungi dal mettersi d'accordo col magro residuo effettivo.
Perdersi, no: non era uomo da perdersi così facilmente, massime di fronte a quei venticinque firmatarii con un Pascotti per capitano. Ma i conti, no, ecco! i conti doveva trovar modo di non presentarli. Se poi, proprio proprio vi fosse stato costretto... un lampo, uno dei suoi soliti lampi geniali doveva salvarlo... Che lampo?
Ci pensò tutta la notte Camposoldani e il giorno appresso. Poche ore prima dell'adunanza, si vide all'improvviso comparire davanti Geremia, più che mai come una larva, che un soffio sospingesse: entrò parlando, al suo solito, sottovoce, con un tremolio più accentuato del capo e delle mani, e con l'ombra, l'ombra appena del consueto risolino mesto e ragionevole su le labbra.
- L'I... l'Italia... che... ta-tanti sacrifizii... tanti eroismi... l'Italia che... Vittorio... Cavour... chi sa che... che cosa credevano... dovesse diventare... ecco qua... donnaccia da trivio... vergogna... figli bastardi... il di-disonore... si sa!... fratelli contro fratelli... la... la pa... la palla d'Aspromonte... bollati d'infamia... patria di ladri... per forza!... madre di... di figlie sgualdrine... per forza!... L'I... l'Italia... l'Italia...
E bisbigliate queste parole, se n'andò.
Camposoldani rimase sbalordito; non trovò la voce per richiamarlo indietro, per saper che cosa volesse dire.
Che niente niente Geremia aveva protestato in quel modo contro la seduzione e la gravidanza della figliastra?
Alla seduta, oltre ai venticinque firmatarii, intervennero appena una dozzina di socii, che non avevano mai posto piede nella sala dell'Associazione.
Dei sei consiglieri della sede centrale di Roma, nessuno volle presentarsi. Per lettera, chi dichiarò che, secondo lo statuto sociale, si riteneva già da un pezzo scaduto dalla carica; chi, dimesso anche da socio per non aver più pagato; chi fece finanche le meraviglie che l'Associazione fosse tuttora in vita.
Alla tavola della Presidenza si presentò solo, a testa alta, Bonaventura Camposoldani. Più a testa alta di lui e con cipiglio più sdegnoso del suo, si ergeva però dietro la tavola della Presidenza qualche altro: Dante Alighieri su la colonnina di gesso abbronzato.
Dante Alighieri pareva che sentisse più puzza che mai.
Era evidentissimo che prima di intervenire alla seduta, quei trentasette socii avevano concertato fra loro un piano di battaglia. Si leggeva chiaramente negli occhi dei più stupidi, alcuni intozzati, su di sé, altri spavaldi, altri sdegnosi, col labbro in fuori e le palpebre basse attraverso le quali guardavano le sedie, le tende, la tavola della Presidenza e lo stesso Dante Alighieri, come per compassione.
Pascotti prese posto in prima fila, nel mezzo; Concetto Sbardi, invece, in fondo, appartato. Era un ometto tozzo, ispido, aggrondato, che teneva continuamente una mano spalmata sul mento e si raschiava con le unghie adunche le guance rase, stridenti. Molti si voltavano a guardarlo, ed egli, seccato, s'insaccava di più nelle spalle. Ma se c'era Pascotti! Perché non guardavano Pascotti? Che stupidi!
Camposoldani, un po' pallido, con occhi gravi, ma pur con un sorrisino ironico appena percettibile sotto i baffi, prima di aprir la seduta, chiamò con un cenno della mano Geremia, che s'era seduto, trepidante, presso l'uscio, e gli diede un foglio di carta perché gl'intervenuti vi apponessero la firma di presenza.
Quando riebbe il foglio firmato, sonò il campanello e disse pacatamente:
- Signori, l'adunanza era indetta per le ore 20: sono già circa le 21. Da questa nota di presenza risulta che non siamo in numero. I soci iscritti nella sede di Roma sono novantasei...
- Domando la parola! - esclamò Pascotti.
- Prego, professore, - seguitò Camposoldani. - Indovino ciò che ella vorrebbe dire: di questi novantasei socii molti debbono ritenersi dimissionarii, perché da un pezzo...
- Domando la parola! - insisté Pascotti.
- L'avrà; ma prima mi lasci dire! - replicò con fermo accento Camposoldani. - Io sono qui anche per far rispettare lo statuto sociale: e dico loro innanzi tutto che avrei potuto benissimo non tener conto della loro istanza, perché tutti i venticinque firmatarii, tranne uno, come del resto la maggioranza dei socii inscritti a questa sede, avrei potuto considerare come dimissionarii.

...continua


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