Quaderni

Ha in sé qualche cosa, questa donna, che gli altri non riescono a comprendere, perché bene non lo comprende neppure lei stessa. Si indovina però dalle violente espressioni che assume, senza volerlo, senza saperlo, nelle parti che le sono assegnate.
Ella sola le prende sul serio, e tanto più quanto più sono illogiche e strampalate, grottescamente eroiche e contraddittorie. E non c'è verso di tenerla in freno, di farle attenuare la violenza di quelle espressioni. Manda a monte ella sola più pellicole, che non tutti gli altri attori delle quattro compagnie presi insieme. Già esce dal campo ogni volta; quando per caso non ne esce, è così scomposta la sua azione, così stranamente alterata e contraffatta la sua figura, che nella sala di prova quasi tutte le scene a cui ella ha preso parte, resultano inaccettabili e da rifare. Qualunque altra attrice, che non avesse goduto e non godesse come lei la benevolenza del magnanimo commendator Borgalli, sarebbe stata già da un pezzo licenziata.
- Là là là... - esclama invece il magnanimo commendatore, senza inquietarsi, vedendo sfilar su lo schermo della sala di prova quelle immagini da ossessa - là là là... ma via... ma no... ma com'è possibile?... oh Dio, che orrore... via via via...
E se la piglia con Polacco e, in generale, con tutti i direttori di scena, i quali si tengono per sé gli scenarii, contentandosi di suggerire volta per volta agli attori l'azione da svolgere in ogni singola scena, spesso saltuariamente, perché non tutte le scene possono eseguirsi con ordine, una dopo l'altra, in un teatro di posa. Ne viene, che quelli spesso non sanno neppure che parte stieno a rappresentare nell'insieme e che si senta qualche attore domandare a un certo punto:
- Ma scusi, Polacco, io sono il marito o l'amante?
Invano Polacco protesta d'avere spiegato bene alla Nestoroff tutta intera la parte. Il commendator Borgalli sa che la colpa non è del Polacco; tant'è vero, che gli ha dato un'altra prima attrice, la Sgrelli, per non fargli andare a monte tutti i films affidati alla sua compagnia. Ma la Nestoroff protesta dal canto suo, se Polacco si serve soltanto della Sgrelli o più della Sgrelli che di lei, vera prima attrice della compagnia. I maligni dicono che lo fa per rovinare il Polacco, e il Polacco stesso crede così e lo va dicendo. Non è vero: non c'è altra rovina qua, che di pellicole; e la Nestoroff è veramente disperata di ciò che le avviene; ripeto, senza volerlo e senza saperlo. Resta ella stessa sbalordita e quasi atterrita delle apparizioni della propria immagine su lo schermo, così alterata e scomposta. Vede lì una, che è lei, ma che ella non conosce. Vorrebbe non riconoscersi in quella; ma almeno conoscerla.
Forse da anni e anni e anni, a traverso tutte le avventure misteriose della sua vita, ella va inseguendo questa ossessa che è in lei e che le sfugge, per trattenerla, per domandarle che cosa voglia, perché soffra, che cosa ella dovrebbe fare per ammansarla, per placarla, per darle pace.
Nessuno, che non abbia gli occhi velati da una passione contraria e l'abbia vista uscire dalla sala di prova dopo l'apparizione di quelle sue immagini, può aver più dubbii su ciò. Ella è veramente tragica: spaventata e rapita, con negli occhi quello stupor tenebroso che si scorge negli agonizzanti e a stento riesce a frenare il fremito convulso di tutta la persona.
So la risposta che mi si darebbe, se lo facessi notare a qualcuno:
- Ma è la rabbia! freme di rabbia!
È la rabbia, sì; ma non quella che tutti suppongono, cioè per un film andato a male. Una rabbia fredda, più fredda d'una lama, è veramente l'arma di questa donna contro tutti i suoi nemici. Ora, Cocò Polacco non è per lei un nemico. Se fosse, ella non fremerebbe così: freddissimamente si vendicherebbe di lui.
Nemici per lei diventano tutti gli uomini, a cui ella s'accosta, perché la ajutino ad arrestare ciò che di lei le sfugge: lei stessa, sì, ma quale vive e soffre, per così dire, di là da se stessa.
Ebbene, nessuno si è mai curato di questo, che a lei più di tutto preme; tutti, invece, rimangono abbagliati dal suo corpo elegantissimo, e non vogliono aver altro, né saper altro di lei. E allora ella li punisce con fredda rabbia, là dove s'appuntano le loro brame; ed esaspera prima queste brame con la più perfida arte, perché più grande sia poi la sua vendetta. Si vendica, facendo getto, improvvisamente e freddamente, del suo corpo a chi meno essi si aspetterebbero: così, là, per mostrar loro in quanto dispregio tenga ciò che essi sopra tutto pregiano di lei.
Non credo che possano spiegarsi in altro modo certi subitanei cangiamenti nelle sue relazioni amorose, che appajono a tutti, a prima giunta, inesplicabili, perché nessuno può negare ch'ella con essi non abbia fatto il suo danno.
Se non che gli altri, ripensandoci e considerando da una parte la qualità di coloro con cui ella prima s'era messa, e dall'altra quella di coloro a cui d'improvviso s'è gettata, dicono che questo dipende perché ella coi primi non poteva stare, non poteva respirare; mentre a questi altri si sentiva attratta da un'affinità "canagliesca"; e quel getto di sé improvviso e inopinato lo spiegano come lo sbalzo di chi, a lungo soffocato, voglia prendere alfine, dove può, una boccata d'aria.
E se fosse proprio il contrario? Se per respirare, per aver quell'ajuto ch'io ho detto più sù, ella si fosse accostata ai primi, e invece d'averne quel respiro, quell'ajuto che sperava, nessun respiro e nessun ajuto avesse avuto da loro, ma anzi un dispetto e una nausea più forti, perché accresciuti ed esacerbati dal disinganno, e anche da quel certo sprezzo che sente per i bisogni dell'anima altrui chi non vede e non cura se non la propria ANIMA, così, tutta in lettere maiuscole? Nessuno lo sa; ma di queste "canagliate" possono essere ben capaci coloro che più si stimano da sé e son dagli altri stimati superiori. E allora... allora meglio la canaglia che si dà per tale, che se ti attrista, non ti delude; e che può avere, come spesso ha, qualche lato buono e, di tratto in tratto, certe ingenuità, che tanto più ti rallegrano e ti rinfrescano, quanto meno in loro te le aspetti.
Il fatto è, che da più d'un anno la Nestoroff è con l'attore siciliano Carlo Ferro, anch'esso qui scritturato alla Kosmograph: ne è dominata e innamoratissima. Sa quello che da un tale uomo ella si può aspettare, e non gli chiede altro. Ma pare che abbia da lui assai più di quanto gli altri possano figurarsi.
Ragion per cui, da qualche tempo in qua, mi sono messo a studiare con molto interesse anche lui, Carlo Ferro.

V

Problema per me assai più difficile da risolvere è questo: come mai Giorgio Mirelli, che rifuggiva con tanta insofferenza da ogni complicazione, si sia perduto appresso a questa donna, fino al punto da lasciarci la vita.
Mi mancano quasi tutti i dati per risolvere questo problema, e ho già detto che del dramma ho appena una notizia sommaria.
So da varie fonti che la Nestoroff, a Capri, quando Giorgio Mirelli la vide per la prima volta, era assai malvista e trattata con molta diffidenza dalla piccola colonia russa, che da parecchi anni ha preso stanza in quell'isola.
Finanche c'era chi la sospettava spia, forse perché ella, poco accortamente, s'era presentata come vedova d'un vecchio cospiratore, morto alcuni anni prima del suo arrivo a Capri, fuggiasco a Berlino. Pare che qualcuno abbia domandato notizie tanto a Berlino, quanto a Pietroburgo sul conto di lei e di questo vecchio cospiratore sconosciuto, e che si sia venuti a sapere, che un certo Nicola Nestoroff veramente era stato per alcuni anni spatriato a Berlino, e vi era morto, ma senza che a nessuno mai avesse dato a conoscersi come spatriato per compromissioni politiche. Pare anche si sia saputo, che questo Nicola Nestoroff avesse tolto costei, ragazza, dalla strada, in uno dei quartieri più popolari e malfamati di Pietroburgo e, fattala educare, l'avesse sposata; poi, ridotto per i suoi vizii quasi alla miseria, sfruttata, mandandola a cantare in caffè-concerti d'infimo ordine, finché, ricercato dalla polizia, non era scappato via, solo, in Germania. Ma la Nestoroff, per quello che io ne so, nega sdegnosamente tutto questo. Che si sia lagnata con qualcuno in segreto dei maltrattamenti anzi delle sevizie patite fin da ragazza da quel vecchio, è possibile; ma non dice che egli l'abbia sfruttata; dice anzi che lei, spontaneamente, per seguire la sua passione e un po' anche per sopperire ai bisogni della vita, vincendo l'opposizione di lui, s'era data a recitare in provincia, re-ci-ta-re, in teatri di prosa; e che poi, fuggito dalla Russia il marito per compromissioni politiche e riparato a Berlino, ella, sapendolo infermo e bisognoso di cure, impietosita, lo aveva raggiunto colà e assistito fino alla morte. Che cosa poi abbia fatto a Berlino, da vedova, e quindi a Parigi e a Vienna, di cui spesso parla, dimostrando di conoscerne a fondo la vita e i costumi, né ella dice, né alcuno certo s'arrischia a domandarle.
Per certuni, vorrei dire per moltissimi che non sanno vedere se non se stessi, amare l'umanità spesso, anzi quasi sempre, non significa altro, che esser contenti di sé. Molto contento di sé, della sua arte, de' suoi studii di paese, dovette essere in quei giorni a Capri, senza dubbio, Giorgio Mirelli.
Veramente - e già mi pare d'averlo detto - il suo stato d'animo abituale era il rapimento e la meraviglia. Dato un tale stato d'animo, è facile immaginare che questa donna egli non vide qual'era, coi bisogni che aveva, offesa, fustigata, invelenita dalla diffidenza e dalle dicerie maligne attorno a lei; ma nella figurazione fantastica, ch'egli subito se ne fece, e illuminata dalla luce che le diede. Per lui i sentimenti dovevano esser colori, e forse, preso tutto dalla sua arte, non aveva più altro sentimento, che dei colori. Tutte le impressioni che ebbe di lei, forse derivarono solamente da quella luce di cui la illuminava: impressioni, dunque, solamente per lui. Ella non dovette - perché non poteva - parteciparne. Ora, nulla irrita più, che il restare esclusi da una gioja, viva e presente davanti a noi, attorno a noi, di cui non si scopra né s'indovini la ragione. Ma se pur Giorgio Mirelli gliel'avesse dichiarata, non avrebbe potuto comunicargliela. Era una gioja soltanto per lui e dimostrava che anch'egli, in fondo, non pregiava e non voleva altro di lei, che il corpo; non come gli altri, è vero, per un basso intento; ma questo anzi, a lungo andare - se ben si consideri - non poteva che irritare di più quella donna. Perché, se il non vedersi ajutata nelle smaniose incertezze dello spirito da quanti non vedevano e non volevano altro di lei che il corpo, per saziar su esso la fame bruta del senso, le faceva dispetto e nausea; il dispetto per uno, che voleva anch'esso il corpo e nient'altro; il corpo, ma solo per trarne una gioja ideale e assolutamente per sé, doveva esser tanto più forte, in quanto mancava appunto ogni motivo di nausea, e più difficile, anzi vana addirittura rendeva quella vendetta, ch'ella almeno soleva prendersi contro gli altri. Un angelo per una donna è sempre più irritante d'una bestia.
So da tutti i compagni d'arte di Giorgio Mirelli a Napoli, ch'egli era castissimo, non perché non sapesse farsi valere su le donne, ché timido non era affatto, ma perché istintivamente rifuggiva da ogni distrazione volgare.
Per spiegarci il suo suicidio, senz'alcun dubbio dipeso in gran parte dalla Nestoroff, dobbiamo supporre ch'ella, non curata, non ajutata e irritatissima, per potersi vendicare, dovette con le arti più fini e più accorte far sì che il suo corpo a mano a mano davanti a lui cominciasse a vivere, non per la delizia degli occhi soltanto; e che, quando lo vide come tant'altri vinto e schiavo, gli vietò, per meglio assaporare la vendetta, che da lei prendesse altra gioja, che non fosse quella di cui finora s'era contentato come unica ambita, perché unica degna di lui.
Dico dobbiamo supporre questo, ma a volere esser maligni. La Nestoroff potrebbe dire, e forse dice, ch'ella non fece nulla per alterare quella relazione di pura amicizia, che s'era stabilita tra lei e il Mirelli: tanto vero che, quand'egli, non più pago di quella pura amicizia, più che mai corrivo per le severe repulse da lei opposte, pur d'ottenere l'intento, le si profferse marito, ella lottò a lungo - e questo è vero; io l'ho saputo - per dissuaderlo, e volle partire da Capri, sparire; e alla fine non si arrese, se non per la violenta disperazione di lui.
Ma è vero che, a volere esser maligni, si può anche pensare, che tanto le repulse, quanto la lotta e la minaccia e il tentativo di partire, di sparire, forse furono tante arti ben meditate e attuate per ridurre alla disperazione quel giovine, dopo averlo sedotto, e ottenerne tante e tante cose, ch'egli altrimenti forse non le avrebbe mai accordate. Prima fra queste, che fosse presentata come promessa sposa nella villetta di Sorrento a quella cara nonna, a quella dolce sorellina, di cui egli le aveva parlato, e al fidanzato di lei.
Pare che questi, Aldo Nuti, più che le due donne, si sia opposto fieramente a tale pretesa. Autorità e potere da contrastargli e impedirgli quelle nozze non aveva, giacché Giorgio era ormai padrone di sé, delle sue azioni e credeva di non doverne più dar conto a nessuno; ma che conducesse lì quella donna e la ponesse a contatto con la sorella e obbligasse questa ad accoglierla e a trattarla da sorella, a questo sì, perdio, poteva e doveva opporsi e s'opponeva con tutte le forze. Ma sapevano esse, nonna Rosa e Duccella, che razza di donna fosse quella che Giorgio voleva condurre lì e sposare? Un'avventuriera russa, un'attrice, se non qualcosa di peggio! Come permetterlo, come non opporsi con tutte le forze?Ancora con tutte le forze... Eh sì, chi sa quanto dovettero combattere nonna Rosa e Duccella per vincere a poco a poco, con dolce e mesta persuasione, tutte quelle forze di Aldo Nuti.
Se avessero potuto immaginare, che cosa dovevano diventare queste forze al cospetto di Varia Nestoroff, appena entrata, timida, aerea e sorridente nella cara villetta di Sorrento!
Forse Giorgio, per scusare l'indugio che nonna Rosa e Duccella mettevano a rispondere, avrà detto alla Nestoroff, che quell'indugio dipendeva dall'opposizione con tutte le forze del fidanzato della sorella; dimodoché la Nestoroff si sentì tentata a misurarsi con queste forze, subito, appena entrata nella villetta. Non so nulla! So che Aldo Nuti fu attratto come in un gorgo e subito travolto come un fuscellino di paglia nella passione per questa donna.
Io non lo conosco. Lo vidi da ragazzo una volta sola, quando facevo da ripetitore a Giorgio; e mi parve fatuo. Tale mia impressione non s'accorda con ciò che mi disse di lui, al mio ritorno da Liegi, il Mirelli, ch'egli fosse cioè complicato. Ma anche ciò che da altri ho saputo sul suo conto non risponde affatto a quella mia prima impressione, la quale pure irresistibilmente m'ha tratto a parlar di lui, secondo l'idea che per essa me ne sono fatta. Dev'essere, realmente, sbagliata. Duccella poté amarlo! E questo, per me, prova più che altro il mio errore. Ma alle impressioni non si comanda. Sarà, come mi dicono, un giovane serio, per quanto di temperamento ardentissimo; per me, finché non lo rivedo, rimane quel ragazzo fatuo, con lo stemma baronale nei fazzoletti e nel portafogli, il signorino a cui sarebbe tanto piaciuto di far l'attore drammatico.
Lo fece, e non per finta, con la Nestoroff, a spese di Giorgio Mirelli. Il dramma si svolse a Napoli, poco dopo la presentazione e il breve soggiorno della Nestoroff là a Sorrento. Pare che il Nuti se ne fosse tornato a Napoli coi due fidanzati, dopo quel breve soggiorno, per ajutar Giorgio inesperto e lei non ancor pratica della città, a metter sù casa, prima delle nozze.
Forse il dramma non sarebbe avvenuto o avrebbe avuto una catastrofe diversa, se non ci fosse stata la complicazione del fidanzamento, o meglio, dell'amore di Duccella per il Nuti. Per questo Giorgio Mirelli dovette ritorcere contro se stesso la violenza dell'orrore insostenibile, che gli s'avventò addosso dall'improvvisa scoperta del tradimento.
Aldo Nuti scappò da Napoli come un forsennato, prima che da Sorrento sopravvenissero alla notizia del suicidio di Giorgio nonna Rosa e Duccella.
Povera Duccella, povera nonna Rosa! La donna che da mille e mille miglia lontano venne a portare lo scompiglio e la morte nella vostra casetta, ove insieme con quei gelsomini di bella notte sbocciava il più ingenuo degli idillii, io la ho qua, adesso, sotto la mia macchinetta, ogni giorno; e, se sono vere le notizie datemi dal Polacco, avrò tra poco anche lui, qua, Aldo Nuti, il quale pare abbia saputo che la Nestoroff è prima attrice alla Kosmograph.
Non so perché, mi dice il cuore che, girando la manovella di questa macchinetta di presa, io sono destinato a fare anche la vostra vendetta e del vostro povero Giorgio, cara Duccella, cara nonna Rosa!


Quaderno terzo

I

Un lieve sterzo. C'è una carrozzella che corre davanti. - Pò, pòpòòò, pòòò.
Che? La tromba dell'automobile la tira indietro? Ma sì! Ecco pare che la faccia proprio andare indietro, comicamente.
Le tre signore dell'automobile ridono, si voltano, alzano le braccia a salutare con molta vivacità, tra un confuso e gajo svolazzìo di veli variopinti; e la povera carrozzella, avvolta in una nuvola alida, nauseante, di fumo e di polvere, per quanto il cavalluccio sfiancato si sforzi di tirarla col suo trotterello stracco, séguita a dare indietro, indietro, con le case, gli alberi, i rari passanti, finché non scompare in fondo al lungo viale fuor di porta. Scompare? No: che! È scomparsa l'automobile, la carrozzella, invece, eccola qua, che va avanti ancora, pian piano, col trotterello stracco, uguale, del suo cavalluccio sfiancato. E tutto il viale par che rivenga avanti, pian piano, con essa.
Avete inventato le macchine? E ora godetevi questa e consimili sensazioni di leggiadra vertigine.
Le tre signore dell'automobile sono tre attrici della Kosmograph, e hanno salutato con tanta vivacità la carrozzella strappata indietro dalla loro corsa meccanica non perché nella carrozzella ci sia qualcuno molto caro a loro; ma perché l'automobile, il meccanismo le inebria e suscita in loro una così sfrenata vivacità. La hanno a disposizione: servizio gratis; paga la Kosmograph. Nella carrozzella ci sono io. M'han veduto scomparire in un attimo, dando indietro comicamente, in fondo al viale; hanno riso di me; a quest'ora sono già arrivate. Ma ecco che io rivengo avanti, care mie. Pian pianino, sì; ma che avete veduto voi una carrozzella dare indietro, come tirata da un filo, e tutto il viale assaettarsi avanti in uno striscio lungo confuso violento vertiginoso. Io, invece, ecco qua, posso consolarmi della lentezza ammirando a uno a uno, riposatamente, questi grandi platani verdi del viale, non strappati dalla vostra furia, ma ben piantati qua, che volgono a un soffio d'aria nell'oro del sole tra i bigi rami un fresco d'ombra violacea: giganti della strada, in fila, tanti, aprono e reggono con poderose braccia le immense corone palpitanti al cielo.

...continua


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