Suo marito

- Voleva vedere propriamente la signora. Le ho detto che la signora non c'è.
- Ma chi è? - gridò Giustino. - Signora... signora... signora... È mai stata qui?
- Nossignore, mai.
- Forestiera?
- Nossignore, non pare.
- E chi può essere? - domandò a sé stesso Giustino. - Ecco, vengo.
E scese al salotto. Restò su la soglia come basito al cospetto di Livia Frezzi, la quale, col viso scontraffatto, orribilmente macerato, quasi pinzato qua e là da rapidi guizzi nervosi, lo investì coi denti serrati e le labbra divaricate e gli occhi verdi fissi e scoloriti...
- Non è tornata? Non sono ancora tornati?
Giustino, nel vedersela addosso, irta così di furia dilaniatrice, ebbe paura, e insieme compassione e sdegno.
- Ah, sa anche lei? - fece. - Jersera... jersera certo... avranno perduto la... la corsa... ma... ma forse a momenti...
La Frezzi gli si fece ancor più addosso, proprio quasi ad aggredirlo:
- Dunque voi sapevate? voi avete permesso che andassero insieme? voi!
- Come... signora mia... ma perché? - rispose, traendosi indietro. - Lei... lei s'immagina... io compatisco... ma...
- Voi? - incalzò la Freni.
E allora Giustino, giungendo pietosamente le mani, quasi a raccogliere e a offrire con supplice atto la ragione a quella povera donna:
- Ma che ci può esser di male, scusi? Io la prego di credere che la mia signora...
Livia Frezzi non lo lasciò proseguire: serrò le mani artigliate accanto al volto contratto, quasi spremuto per fare uscir fuori dei denti serrati l'insulto imbevuto di tutto il suo fiele, di tutto il suo disprezzo e proruppe:
- Imbecille!
- Ah, perdio! - scattò Giustino. - Lei m'insulta a casa mia! Insulta me e la mia signora col suo sospetto indegno!
- Ma se li hanno visti, - riprese quella, faccia contro faccia con le labbra stirate ora da un orribile ghigno. - Insieme, a' braccetto, tra le rovine di Ostia... così!
E sporse una mano per afferrargli il braccio.
Giustino si scansò.
- Ostia? ma che Ostia! Lei travede! Chi gliel'ha detto? Se sono andati a Orvieto!
- A Orvieto, è vero? - sghignò ancora la Frezzi. - Ve l'hanno detto loro?
- Ma sissignora! Il signor Gueli! - affermò con forza Giustino. - Una gita artistica, una visita al duomo d'Orvieto... Arte antica, roba da...
- Imbecille! imbecille! imbecille! - proruppe di nuovo la Frezzi. - Gli avete, così, tenuto mano?
Giustino, pallidissimo, levò un braccio e, contenendosi a stento, fremette:
- Ringrazii Dio, signora, d'esser donna, se no...
Più torbida e più fiera che mai, la Frezzi gli tenne testa, interrompendolo:
- Voi, voi ringraziate Dio piuttosto, che non l'ho trovata qui! Ma saprò trovar lui, e sentirete!
Scappò via con questa minaccia, e Giustino rimase a guardarsi attorno, vibrante e stordito, movendo le dieci dita delle mani in aria come non sapesse che prendere e che toccare.
- È impazzita... è impazzita... è impazzita... - bisbigliava. - Capace di commettere un delitto...
Che doveva far lui? Uscire, correrle dietro? Uno scandalo per istrada... Ma intanto?
Si sentiva come trascinato dalla furia di colei, e protendeva il corpo quasi per lanciarsi alla corsa, e subito lo arretrava, trattenuto da una riflessione che non aveva tempo né modo d'affermarsi nel confuso sbigottimento, nella perplessità, tra tanti incerti, opposti consigli. E vaneggiava:
- Ostia... che Ostia!... Sarebbero tornati... A braccetto... tra le rovine... È pazza... Li hanno visti... Chi può averli visti?... E sono andati a dirlo a lei?... Qualcuno che la sa gelosa, e ci si spassa... E intanto?... Costei è capace d'andare alla stazione e di far chi sa che cosa...
Guardò l'orologio, senza pensare che la Frezzi non aveva alcuna ragione d'andare alla stazione a quell'ora, se supponeva che il Gueli e Silvia fossero andati a Ostia e non a Orvieto; e chiamò Èmere perché gli portasse giù il cappello e il bastone. Mancava quasi mezz'ora al tocco: aveva appena il tempo di trovarsi presente all'arrivo del treno.
- Alla stazione, caccia! - gridò, montando su la prima vettura incontrata presso il Ponte Margherita.
Ma vi giunse pochi istanti dopo l'arrivo del treno da Chiusi. Ne scendevano ancora gli ultimi passeggeri. Guardò tra questi. Non c'erano! Corse verso l'uscita, lanciando occhiate qua e là su tutti quelli che si lasciava indietro. Non li vedeva! Possibile che non fossero arrivati neppure con quel treno? Forse erano già usciti, s'eran già messi in vettura... Ma non li avrebbe incontrati, venendo, lì presso la stazione:
- Mi saranno sfuggiti!
E saltò in un'altra vettura per farsi riportare al villino, di furia.
Era quasi sicuro, quando vi giunse, che Èmere dovesse rispondergli che nessuno era arrivato.
Non poteva più esser dubbio ormai che qualche cosa di grave doveva essere accaduto. Si trovava fra la stranezza (che ora gli saltava agli occhi losca) di quella gita proposta giusto sul punto del suo arrivo, a cui, dopo il mancato ritorno, seguiva un così lungo, inesplicabile silenzio, e il sospetto oltraggioso di quella pazza. Avrebbe voluto arrestarlo perché non riempisse quel vuoto e quel silenzio e non s'impadronisse anche di lui, quell'oltraggioso sospetto; e tentava di parargli contro, per sbigottirlo, l'enormità dell'inganno che quei due gli avrebbero fatto, incommensurabile per la sua coscienza di marito esemplare, che sempre e tutto si era speso per la moglie, fino a conquistarle quei trionfi e l'agiatezza; e la fama d'austerità di cui godeva il Gueli, e l'onestà, l'onestà di sua moglie, scontrosa e dura. Strana, sì: ella era stata strana in quegli ultimi tempi, dopo il trionfo del dramma, ma appunto perché quella sua onestà scontrosa e dura, amante della semplicità e dell'ombra, non sapeva ancora acconciarsi al fasto e allo splendore della fama. No, no, via! come dubitare dell'onestà di lei, che gli doveva, se non altro, tanta gratitudine, e della lealtà del Gueli, già vecchio, e poi così legato da tanti anni a quella donna, schiavo di lei?
Uno sprazzo... Che forse al Gueli il servo avesse telegrafato a Orvieto l'improvviso arrivo della Frezzi da Monteporzio, e ora egli non osasse ritornare a Roma? Ma, perdio, doveva tenersi Silvia con sé, là, per la sua paura di ritornare? E Silvia, prestarsi, senza capire che n'andava di mezzo la sua dignità? Ma che, no! Non era possibile! Avrebbero capito che, più stavano a ritornare, più sarebbero cresciuti i sospetti e le furie di quella pazza... Tranne che il Gueli, persuaso da quella paura, perseguitato da quel sospetto, ora, fuori delle grinfe della Frezzi, non inducesse Silvia...
Quel silenzio, quel silenzio con lui, più di tutto era grave!
Doveva egli andare a Orvieto? E se non c'erano più? Se non c'erano mai stati? Ecco, già ne dubitava... Forse erano andati altrove... Gli sovvenne a un tratto che il Gueli aveva detto di dover partire per Milano. Che si fosse portata seco Silvia fin lassù? Ma come: senza darne avviso? Se onestamente fosse nato loro il desiderio di visitare qualche altro luogo, glien'avrebbero dato notizia in qualche modo... No, no... Dov'erano andati?
Ah, ecco il campanello! Balzò allo squillo, non aspettò che Èmere corresse ad aprire il cancello, vi corse lui, si trovò di fronte il postino che gli porgeva una lettera.
Era di Silvia! Ah, finalmente... Ma come? Su la busta, un francobollo di città... Gli scriveva da Roma?
- Va'! va'! - gridò a Èmere, accorso, mostrandogli che aveva preso lui la lettera.
E strappò la busta, lì nel giardino stesso, innanzi al cancello.
La lettera, brevissima, d'una ventina di righe in tutto, era senza luogo di provenienza né data né intestazione. Lette le prime parole, egli si provò a trarre, come trafitto, due volte invano il respiro; il volto gli si sbiancò; gli s'intorbidarono gli occhi; vi passò sopra una mano; poi strinse questa e l'altra che reggeva la lettera, e la lettera si spiegazzò.
Ma come?... via?... così?... per non ingannarlo? E guardava fieramente un placido leoncino di terracotta là presso il cancello, che, con la testa allungata su le zampe anteriori, niente, seguitava a dormire. - Ma come? e non l'aveva ingannato, con quel vecchio lì?... non era andata via con lui? E gli lasciava tutto... che voleva dir tutto? che era più tutto, che era più lui, se ella... Ma come? Perché? Non una ragione! Niente... Se ne andava via così, senza dire perché... Perché egli aveva fatto tanto, troppo, per lei? Questo, il compenso? Gli buttava in faccia tutto... Come se egli avesse lavorato per sé solo e non per lei insieme! E poteva più star lì, egli, senza di lei? Era il crollo... il crollo di tutta la sua vita... il suo annientamento... Ma come? Nulla, nulla, nulla di preciso diceva quella lettera; non parlava affatto del Gueli; diceva di non volerlo ingannare e soltanto affermava recisamente il proposito di rompere la loro convivenza. E proveniva da Roma! Era ella dunque a Roma? E dove? In casa del Gueli, no, non era possibile; c'era la Frezzi, e costei era venuta da lui quella mattina stessa. Forse non era a Roma; e quella lettera era stata mandata a qualcuno perché la impostasse. A chi? Forse al Raceni... forse alla signora. Ely Faciolli... Qualche cosa all'uno o all'altra aveva dovuto scrivere e, se non altro, dalla busta si sarebbe scoperto il luogo di provenienza. Egli doveva andare, rintracciarla a ogni costo, farla parlare, che gli spiegasse perché non poteva più vivere con lui, e farle intendere la ragione. Doveva essersi impazzita! Forse il Gueli... No, egli non sapeva ancor credere che si fosse potuta mettere col Gueli! Ma forse questi, chi sa che le aveva istigato contro di lui, vessato com'era dalla Frezzi, impazzito anche lui... Ah pazzi, pazzi tutti! E che cieco era stato lui ad andare a invitarlo contro la volontà di lei... Chi sa che si figurava di lui il Gueli! Che egli volesse vessar la moglie come la Frezzi vessava lui? Ecco, sì, doveva averle messo in capo questa nequizia... Perché egli la spingeva a lavorare? Ma per lei! per lei! per mantenerla nella fama, nell'altezza a cui la aveva inalzata con tante fatiche! Tutto, tutto per lei! Se egli aveva anche perduto l'impiego per lei? se per sé stesso non era più vissuto, come sospettar di lui una tale nequizia? Ella, se mai, ella, Silvia aveva sfruttato lui, s'era preso tutto il suo lavoro, tutto il suo tempo, tutta l'anima sua; ed ecco, ora lo abbandonava, ora lo buttava lì, via, come uno straccio inutile. Poteva egli tenersi il villino, i guadagni fatti sui lavori di lei? Pazzie! Neanche a pensarci! Ed ecco, restava in mezzo a una strada, senza più stato, senza professione, come un sacco vuoto... No, no, perdio! Prima che scoppiasse lo scandalo, la avrebbe ritrovata! la avrebbe ritrovata!

...continua


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