Manituana

L'artigliere reagí con la forza della disperazione. I corpi presero a rotolare nella polvere, seguiti da urla, calci, imprecazioni, mentre attorno artiglieri e irregolari venivano alle mani.

Il generale Sullivan era stato tentato dalla punizione esemplare. Almeno lui, però, si sarebbe attenuto al codice di guerra. Gli uomini che gli erano sfilati davanti avevano la faccia tumefatta, la divisa strappata. Nessuno aveva confessato la causa della rissa. Gli irregolari che sembravano averla provocata erano spariti. Avrebbe dovuto punire gli offesi, il codice di guerra parlava chiaro.
Sullivan pensò al sangue che sarebbe uscito sotto i colpi di scudiscio. Poco male, quella terra ne era già intrisa. Firmò la sentenza. Gli uomini uscirono dalla tenda da campo, schiavettoni ai polsi, sospinti dai calci dei fucili.
Era l'ultimo dovere della giornata. Chiamò l'attendente, ordinò di non fare passare nessuno. Versò un bicchiere di sherry.
Alla luce del lume, sul tavolino che faceva da scrivania, Sullivan aprí il libro che l'aveva accompagnato nel corso di tutta la carriera. De bello gallico. Era adatto al contesto, riprenderne la lettura gli aveva concesso momenti di esaltazione, lo aveva indotto a riflettere, gli aveva fornito modelli ed esempi innumerevoli. Si avvicinavano a Fort Niagara, l'Alesia dei lealisti. La gloria del mondo è transitoria. Un tempo il crollo delle Sei Nazioni sarebbe stato impensabile. Ora l'agonia di quell'antico potentato si intrecciava con l'ascesa di una nuova nazione.
All'inizio della guerra, il terrore aveva percorso le città della costa. Si credeva che orde di indiani potessero calare dai boschi e mettere a ferro e fuoco ogni cosa. Burgoyne, lo sconfitto di Saratoga, aveva cavalcato queste fantasie e messo in giro un sonetto in cui parlava degli indiani come di "diecimila cani dell'Inferno", pronti a vendicare l'onore dell'Inghilterra. Stupido. Un tiranno protetto da un branco di selvaggi, ecco la figura che aveva fatto fare al proprio re.
Non c'era posto per il passato, in America.



40.

Battere d'ali e vento tra le piume. La vista precede la discesa verso la colonna di fumo che presto oscurerà il sole. L'uccello sorvola la radura in fiamme. Tra i campi emergono scheletri che furono capanne, case, magazzini. Una città.
Battito d'ali. Un altro giro sulle macerie. Cadaveri gonfi per il calore del fuoco o contorti come legni secchi. Su una catasta di corpi, unico superstite, un cane abbaia impazzito al serpente che risale la collina. Il picchio vola in quella direzione per vedere meglio. L'enorme creatura si muove sulla pista di nordovest, a caccia di nuova preda. Una scolopendra dalla coda acuminata e luccicante, la schiena irta di aculei. Il picchio distingue uomini, bestie, ruote, metallo. Si posa su un ramo per guardarli sfilare sotto di sé. L'odore che emanano fa paura, gli occhi, tanti quanti le stelle, riflettono ancora i bagliori dell'incendio, arrossati dalla caligine. Alla testa c'è un uomo su un cavallo nero come la notte. Indossa una divisa blu e il suo nome è Distruzione. Nella bisaccia della sella custodisce un libro. Nello sguardo trattiene il futuro. Al fianco porta una spada d'oro per la testa del suo nemico.
Battito d'ali. Il picchio vola via spaventato, punta verso ovest. Supera l'armata, sorvola la foresta e la collina. L'aria è di nuovo fresca e pulita. Guarda giú, fruga il fitto degli alberi lungo il torrente. Una schiera di uomini risale il crinale, si spostano rapidi per guadagnare la posizione migliore.
Il picchio si abbassa. Davanti corre un indiano, divisa rosso sangue aperta a mostrare i segni di guerra. Incrociate sul petto ha due grandi pistole, Odio e Vendetta. È un guerriero e un capo. In mille lo seguono, un branco di lupi, zanne esposte a digrignare rabbia in faccia alla sorte. Saettano tra gli alberi con un fruscio di frecce scoccate, spariscono e ricompaiono, spettri del bosco artigliati a un barlume di fortuna. Sono indiani. Sono bianchi. Combattono insieme da troppo tempo per riuscire a distinguerli.
Ancora un colpo d'ali. Il picchio scarta di lato, compie un'ampia virata e torna sopra di loro, solo per vederli disporsi sulle rocce, fucili puntati e cuori in gola, in attesa dell'orizzonte che avanza.
Battito d'ali. Il volo guadagna quota, sale a sorvolare ciò che rimane del territorio Seneca. Il mostro sbrana un pezzo alla volta. L'incendio arde le fondamenta della Lunga Casa e sale lungo i muri.
L'uccello si spinge ancora piú a nordovest, velocissimo, fino a intravedere la costa del grande lago e i tozzi bastioni del forte a picco sull'acqua. Passa sul campo di tende e baracche che cinge Fort Niagara in un abbraccio disperato. Vede le sentinelle inglesi gettare gli avanzi del rancio dalla palizzata, per la folla che si accalca là sotto. Bambini dal ventre gonfio di fame sgusciano tra le gambe degli adulti a caccia dei bocconi migliori.
La discesa raggiunge una piccola nave appena salpata. Uno sforzo per rallentare e posarsi sulla murata.
Il picchio guarda la donna avvolta in uno scialle di lana grezza, salda sul castello di prua. Il sole illumina i tratti decisi del volto. I marinai non si avvicinano né le rivolgono parola. Lei si volta e allunga la mano ad accarezzare il piumaggio dell'animale, che dopo un attimo spicca di nuovo il volo.

Le visioni abbandonarono Molly. Tornò a guardare la distesa piatta che la separava dal domani, i pensieri affilati dall'aria fredda del mattino.
Accompagnami nel Giardino, amore mio, al centro dell'Acqua.
Sei vicino, lo sento, su questo lago che riflette anche il nostro cielo, il cielo della valle che non rivedremo. Lo porto con me, sul filo della speranza che regge il destino della nostra gente. Resta cosí poco. La vita è agli sgoccioli, dovrà iniziarne un'altra, se è questo che il Padre Celeste ha in serbo per noi.
Fa che il vento soffi forte e gonfi le vele. Serve la rapidità del volo. Fino a Montreal e Québec. Dovranno aiutarci o ricevere la mia maledizione.
Peter è morto per combattere i nemici del loro re. La mia famiglia s'è lasciata alle spalle terreni, proprietà, fattorie. Il mio popolo ha abbandonato il ventre della nazione.
Dovranno concederci quello che ci spetta, non la loro pietà, o perdere l'ultimo briciolo d'onore davanti alle generazioni che verranno.
Ci spetta una casa, per accogliere i figli che ancora ci restano. Ci spetta una terra, per piantare i semi che abbiamo salvato dalla distruzione. Per far crescere l'erba sopra di noi, quando sarà tempo.
Ci spetta un nuovo cielo, sgombro dal fumo dei cannoni, per interrogare il futuro con la serenità del passato.



41.

Arrivarono al forte a metà del giorno. In testa marciava Joseph Brant, seguito da uno sparuto drappello di Volontari e Ranger. Kanatawakhon, Oronhyateka e Kanenonte chiudevano la fila, cani di guardia a un gregge.
I fratelli Hough e Daniel Secord erano rimasti indietro con il grosso della truppa, insieme ai Ranger di John Butler. Molti altri erano tornati alle fattorie e alle famiglie, troppo stanchi per continuare la guerra. Alcuni si sarebbero presentati a primavera, pronti a ricominciare. I guerrieri Seneca ancora disposti a combattere erano pochi, la maggior parte, stremata, voleva trattare una pace separata con i ribelli.
Il colonnello Bolton aveva schierato la guarnigione per il presentat-arm.
Mentre attraversava il campo e varcava il cancello del forte, Joseph colse soltanto miseria. La paura aveva abbandonato quei luoghi, per lasciare spazio alla rassegnazione. Profughi e prigionieri si mescolavano nella grande distesa di tende e baracche, schiacciati dallo stesso destino. Stagione dopo stagione le ondate di esseri umani si erano sovrapposte l'una all'altra, stratificate intorno ai bastioni, escrescenze di muschio su un tronco d'albero.
Un altro autunno si avvicinava rapido. Le foglie scivolavano sul lago, formavano isole mobili di colore giallo e arancione. Joseph pensò che poteva essere l'ultimo per tutti loro.
Bolton lo invitò nell'alloggiamento degli ufficiali. Joseph lo seguí, troppo stanco anche per rispondere.
- Capitano Brant, - esordí Bolton quando si furono seduti. - Immagino non siate foriero di buone notizie.
Joseph sollevò il mento per vincere il sonno che lo incalzava da giorni. La marcia verso Fort Niagara era stata senza soste.
- Sullivan punta su Geneseo. A Newtown gli abbiamo teso un'imboscata, ma ha mangiato la foglia e ci ha preso a cannonate. Non abbiamo potuto fare altro che stare a guardare mentre distruggeva i villaggi Seneca uno dopo l'altro e bruciava i campi. Ha quattromila uomini con sé e l'artiglieria pesante. Stiamo organizzando l'ultima difesa. Sono venuto a reclutare tutti gli uomini validi.
- Non userò giri di parole, capitano Brant. La situazione è disperata. Metà della gente non supererà l'inverno. È inutile dire che quando i continentali arriveranno potrò evacuare soltanto i miei uomini.
- Dov'è mia sorella?
Bolton sospirò.
- È partita per il Canada. Vuole incontrare il governatore. Servono navi e un luogo dove portare la vostra gente.
Joseph pensò alla massa di disperati là fuori. Pensò a Molly oltre il grande lago. Pensò ai figli, rifugiati con Margaret a Cayuga. C'era ancora qualcosa che poteva fare.


...continua


Consult the complete list of available texts.

This site uses the texts available on the web sites LiberLiber and Project Gutenberg where you can download them for free.

Share Share on Facebook Share on Twitter Bookmark on Reddit Share via mail
Privacy Policy Creative Commons Attribution-Share Alike Trovami