Il conte di Carmagnola

La notte dopo la battaglia, i soldati vittoriosi lasciarono in libertà quasi tutti i prigionieri. I commissari veneti, che seguivano l'esercito, ne fecero delle lagnanze col Conte; il quale domandò a qualcheduno de' suoi cosa fosse avvenuto de' prigionieri; ed essendogli risposto che tutti erano stati messi in libertà, meno un quattrocento, ordinò che anche questi fossero rilasciati, secondo l'uso.(15)
Uno storico che non solo scriveva in que' tempi, ma aveva militato in quelle guerre, Andrea Redusio, è il solo, per quanto io sappia, che abbia indicata la vera ragione di quest'uso militare d'allora. Egli l'attribuisce al timore che i soldati avevano di veder presto finite le guerre, e di sentirsi gridare dai popoli: alla zappa i soldati.(16)
I Signori veneti furono punti e insospettiti dal procedere del Conte; ma senza giusta ragione. Infatti, prendendo al soldo un condottiero, dovevano aspettarsi che farebbe la guerra secondo le leggi della guerra comunemente seguite; e non potevano senza indiscrezione pretendere che prendesse il rischioso impegno d'opporsi a un'usanza così utile e cara ai soldati, esponendosi a venire in odio a tutta la milizia, e a privarsi d'ogni appoggio. Avevano bensì ragione di pretender da lui la fedeltà e lo zelo, ma non una devozione illimitata: questa s'accorda solamente a una causa che si abbraccia per entusiasmo o per dovere. Non trovo però che dopo le prime osservazioni de' commissari, la Signoria abbia fatte col Carmagnola altre lagnanze su questo fatto: non si parla anzi che d'onori e di ricompense.
Nell'aprile del 1428 fu conclusa tra i Veneziani e il Duca un'altra di quelle solite paci.
La guerra, risorta nel 1431, non ebbe per il Conte così prosperi cominciamenti come le due passate. Il castellano che comandava in Soncino per il Duca, si finse disposto a cedere per tradimento quel castello al Carmagnola. Questo ci andò con una parte dell'esercito, e cadde in un agguato, dove lasciò prigionieri, secondo il Bigli, secento cavalli e molti fanti, salvandosi lui a stento.
Pochi giorni dopo, Nicola Trevisani, capitano dell'armata veneta sul Po, venne alle prese coi galeoni del Duca. Il Piccinino e lo Sforza, facendo le viste di voler attaccare il Carmagnola, lo rattennero dal venire in aiuto all'armata veneta, e intanto imbarcarono gran parte delle loro genti di terra sulle navi del Duca. Quando il Carmagnola s'avvide dell'inganno, e corse per sostenere i suoi, la battaglia era vicino all'altra riva. L'armata veneta fu sconfitta, e il capitano di essa fuggì in una barchetta.
Gli storici veneti accusano qui il Carmagnola di tradimento. Gli storici che non hanno preso il tristo assunto di giustificare i suoi uccisori, non gli danno altra taccia che d'essersi lasciato ingannare da uno stratagemma. Par certo che la condotta del Trevisani fosse imprudente da principio, e irresoluta nella battaglia.(17) Fu bandito, e gli furono confiscati i beni; "e al capitano generale (Carmagnola), per imputazione di non aver dato favore all'armata, con lettere del Senato fu scritta una lieve riprensione".(18)
Il giorno 18 d'ottobre, il Carmagnola diede ordine al Cavalcabò, uno de' suoi condottieri, di sorprender Cremona. Questo riuscì ad occuparne una parte; ma essendosi i cittadini levati a stormo, dovette abbandonare l'impresa, e ritornare al campo.
Il Carmagnola non credette a proposito d'andar col grosso dell'esercito a sostenere quest'impresa; e mi par cosa strana che ciò gli sia stato imputato a tradimento dalla Signoria. La resistenza, probabilmente inaspettata, del popolo spiega benissimo perché il generale non si sia ostinato a combattere una città che sperava d'occupare tranquillamente per sorpresa: il tradimento non ispiega nulla; giacché non si sa vedere perché il Carmagnola avrebbe ordinata la spedizione, il cattivo esito della quale non fu d'alcun vantaggio per il nemico.
Ma la Signoria, risoluta, secondo l'espressione del Navagero, di liberarsi del Carmagnola, cercò in qual maniera potesse averlo nelle mani disarmato; e non ne trovò una più pronta né più sicura, che d'invitarlo a Venezia col pretesto di consultarlo sulla pace. Ci andò senza sospetto, e in tutto il viaggio furono fatti onori straordinari a lui, e al Gonzaga che l'accompagnava. Tutti gli storici, anche veneziani, sono d'accordo in questo; pare anzi che raccontino con un sentimento di compiacenza questo procedere, come un bel tratto di ciò che altre volte si chiamava prudenza e virtù politica. Arrivato a Venezia, "gli furono mandati incontro otto gentiluomini, avanti ch'egli smontasse a casa sua, che l'accompagnarono a San Marco".(19) Entrato che fu nel palazzo ducale, si rimandarono le sue genti, dicendo loro che il Conte si fermerebbe a lungo col doge. Fu arrestato nel palazzo, e condotto in prigione. Fu esaminato da una Giunta, alla quale il Navagero dà nome di Collegio secreto; e condannato a morte, fu, il giorno 5 di maggio del 1432, condotto con le sbarre alla bocca tra le due colonne della Piazzetta, e decapitato. La moglie e una figlia del Conte (o due figlie, secondo alcuni) si trovavano allora in Venezia.
Nulla d'autentico si ha sull'innocenza o sulla reità di questo grand'uomo. Era da aspettarsi che gli storici veneziani, che volevano scrivere e viver tranquilli, l'avrebbero trovato colpevole. Essi esprimono quest'opinione come una cosa di fatto, e con quella negligenza che è naturale a chi parla in favore della forza. Senza perdersi in congetture, asseriscono che il Carmagnola fu convinto coi tormenti, coi testimoni e con le sue proprie lettere. Di questi tre mezzi di prova il solo che si sappia di certo essere stato adoprato è l'infamissimo primo, quello che non prova nulla.
Ma oltre la mancanza assoluta di testimonianze dirette storiche, che confermino la reità del Carmagnola, molte riflessioni la fanno parere improbabile. Né i Veneziani hanno rivelato mai quali fossero le condizioni del tradimento pattuito; né da altra parte s'è saputo mai nulla d'un tale trattato. Quest'accusa è isolata nella storia, e non si appoggia a nulla, se non a qualche svantaggio di guerra, il quale anche si spiega senza ricorrere a questa supposizione: e sarebbe una legge stravagante non meno che atroce quella che volesse imputato a perfidia del generale ogni evento infelice. Si badi inoltre all'essere il Conte andato a Venezia senza esitazione, senza riguardi e senza precauzioni: si badi all'aver sempre la Signoria fatto un mistero di questo fatto, malgrado la taccia d'ingratitudine e d'ingiustizia che gli si dava in Italia; si badi alla crudele precauzione di mandare il Conte al supplizio con le sbarre alla bocca, precauzione tanto più da notarsi, in quanto s'adoprava con uno che non era veneziano, e non poteva aver partigiani nel popolo; si badi finalmente al carattere noto del Carmagnola e del Duca di Milano, e si vedrà che l'uno e l'altro ripugnano alla supposizione d'un trattato di questa sorte tra di loro. Una riconciliazione segreta con un uomo che gli era stato orribilmente ingrato, e che aveva tentato di farlo ammazzare; un patto di far la guerra da stracco, anzi di lasciarsi battere, non s'accordano con l'animo impetuoso, attivo, avido di gloria del Carmagnola. Il Duca non era perdonatore; e il Carmagnola che lo conosceva meglio d'ogni altro, non avrebbe mai potuto credere a una riconciliazione stabile e sicura con lui. Il disegno di ritornare con Filippo offeso non poteva mai venire in mente a quell'uomo che aveva esperimentate le retribuzioni di Filippo beneficato.
Ho cercato se negli storici contemporanei si trovasse qualche traccia d'un'opinione pubblica, diversa da quella che la Signoria veneta ha voluto far prevalere; ed ecco ciò che n'ho potuto raccogliere.
Un cronista di Bologna, dopo aver raccontata la fine del Carmagnola, soggiunge: "Dissesi che questo hanno fatto perché egli non faceva lealmente per loro la guerra contra il Duca di Milano, come egli doveva, e che s'intendeva col Duca. Altri dicono che, come vedevano tutto lo Stato loro posto nelle mani del Conte, capitano d'un tanto esercito, parendo loro di stare a gran pericolo, e non sapendo con qual miglior modo potessero deporlo, han trovato cagione di tradimento contra di lui. Iddio voglia che abbiano fatto saviamente; perché par pure, che per questo la Signoria abbia molto diminuita la sua possanza, ed esaltata quella del Duca di Milano."(20)
E il Poggio: "Certuni dicono che non abbia meritata la morte con delitto di sorte veruna; ma che ne fosse cagione la sua superbia, insultante verso i cittadini veneti, e odiosa a tutti."(21)
Il Corio poi, scrittore non contemporaneo, ma di poco posteriore, dice così: "Gli tolsero il valsente di più di trecento migliaia di ducati, i quali furono piuttosto cagione della sua morte che altro."
Senza dar molto peso a quest'ultima congettura, mi pare che le prime due, cioè il timore e le vendette private dell'amor proprio, bastino, per que' tempi, a dare di questo avvenimento una spiegazione probabile, e certo più probabile di un tradimento contrario all'indole e all'interesse dell'uomo a cui fu imputato.
Tra quegli storici moderni, che non adottando ciecamente le tradizioni antiche, le hanno esaminate con un libero giudizio, uno solo, ch'io sappia, si mostrò persuaso affatto che il Carmagnola sia stato colpito da una giusta sentenza. Questo è il Conte Verri; ma basta leggere il passo della sua Storia, che si riferisce a questo avvenimento, per esser subito convinti che la sua opinione è venuta dal non aver lui voluto informarsi esattamente de' fatti sui quali andava stabilita. Ecco le sue parole: "O foss'egli allontanato, per una ripugnanza dell'animo, dal portare così la distruzione ad un Principe, dal quale aveva un tempo ottenuto gli onori, e sotto del quale aveva acquistata la celebrità; ovvero foss'egli ancora nella fiducia, che umiliato il Duca venisse a fargli proposizioni di accomodamento, e gli sacrificasse i meschini nemici, che avevano ardito di nuocergli, cioè i vilissimi cortigiani suoi; o qualunque ne fosse il motivo, il Conte Francesco Carmagnola, malgrado il dissenso dei Procuratori veneti, e malgrado la decisa loro opposizione, volle rimandare disarmati bensì, ma liberi al Duca tutti i generali ed i soldati numerosissimi, che aveva fatti prigionieri nella vittoria del giorno 11 di ottobre 1427... Il seguito delle sue imprese fece sempre più palese il suo animo; poiché trascurò tutte le occasioni, e lentamente progredendo lasciò sempre tempo ai ducali di sostenersi. In somma giunse a tale evidenza la cattiva fede del Conte Francesco Carmagnola, che, venne, dopo formale processo, decapitato in Venezia... come reo di alto tradimento." Fa stupore il vedere addotto in prova della reità d'un uomo in giudizio segreto di que' tempi, da uno storico che ne ha tanto conosciuta l'iniquità, e che tanto si studia di farla conoscere a' suoi lettori. In quanto al fatto de' prigionieri, ognuno vede gli errori della relazione che ho trascritta. Il Conte di Carmagnola non rimandò liberi tutti i soldati, ma quattrocento soli; non rimandò i generali, perché di questi non fu preso che il Malatesti, e fu ritenuto; non è esatto il dire che i soldati fossero rimandati al Duca: furono semplicemente messi in libertà. Non vedo poi perché si entri in congetture per ispiegare la condotta del Carmagnola in questa occasione, quando la storia ne dà per motivo un'usanza comune.
La sorte del Carmagnola fece un gran rumore in tutta l'Italia; e pare che in particolare i Piemontesi la sentissero più acerbamente, e ne serbassero memoria, come lo indica il seguente aneddoto raccontato dal Denina.
Il primo sospetto che i Veneziani ebbero del segreto della lega di Cambrai venne dalle relazioni d'un loro agente di Milano, il quale era venuto a sapere "che un Carlo Giuffredo Piemontese che si trovava fra i Segretarj di Stato del Governo di Milano ai servigi del Re Luigi, andava fra i suoi famigliari dicendo essere venuto il tempo in cui sarebbesi abbondantemente vendicata la morte del Conte Francesco Carmagnola suo compatriotto".(22)
Non ho citato questo tratto per applaudire a un sentimento di vendetta, e di patriottismo municipale, ma come un indizio del caso che si faceva di questo gran capitano in quella nobile e bellicosa parte d'Italia, che lo considerava più specialmente come suo.
A quegli avvenimenti che si sono scelti per farne il materiale della presente Tragedia, s'è conservato il loro ordine cronologico, e le loro circostanze essenziali; se se ne eccettui l'aver supposto accaduto in Venezia l'attentato contra la vita del Carmagnola, quando in vece accadde in Treviso.



IL CONTE DI CARMAGNOLA
TRAGEDIA

*PERSONAGGI STORICIIL CONTE DI CARMAGNOLA.ANTONIETTA VISCONTI, sua moglie.
UNA LORO FIGLIA, a cui nella tragedia si è attribuito il nome di MATILDE.
FRANCESCO FOSCARI, Doge di Venezia.

Condottieri al soldo dei Veneziani:
GIOVANNI FRANCESCO GONZAGA,
PAOLO FRANCESCO ORSINI,
NICOLÒ DA TOLENTINO,

Condottieri al soldo del Duca di Milano:
CARLO MALATESTI,
ANGELO DELLA PERGOLA,
GUIDO TORELLO,
NICOLÒ PICCININO, a cui nella tragedia si è attribuito il cognome di FORTEBRACCIO,
FRANCESCO SFORZA,
PERGOLA Figlio.

PERSONAGGI IDEALI

MARCO, Senatore Veneziano.
MARINO, uno de' Capi del Consiglio dei Dieci.
PRIMO COMMISSARIO veneto nel campo.
SECONDO COMMISSARIO.

...continua


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