Il turno

E traeva dalla tasca un astuccetto di velluto.
Oggi un braccialetto, jeri un orologino con la catenina d'oro e di perle, e prima un anellino con perle e brillanti e una spilla di smeraldi o un pajo di orecchini... L'Alcozèr non spendeva nulla; non per avarizia: aveva tante gioje delle defunte mogli: che doveva farsene? Le mandava alla nuova fidanzata, ripulite dall'orefice, chiuse in astuccetti nuovi.
Marcantonio Ravì profondeva lodi, esclamazioni ammirative, ringraziamenti.
- Ma voi così, don Diego mio, ci confondete...
- Non ti confondere, asino! Ho esperienza del mondo e so che i regali ci vogliono.
Don Marcantonio si cacciava in tasca il dono e sbuffava dalla stizza per la caparbia ostinazione della figliuola, che, pur di non cedere, si contentava di star chiusa in una camera, assediata, rifiutando anche il cibo.
La madre stava di guardia presso l'uscio di quella camera, come una sentinella. Venivano i parenti, la Mèndola o qualche altra vicina a tentare ancora di metterla sù contro il marito, ma ella tornava col solito gesto ad accennare il segno della croce.
- In nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo! Non mi mettete altra legna sul fuoco: me ne manca forse, donna Carmela mia? Vedete in quale inferno mi trovo?
- Zia Carmela! - chiamava Stellina, dietro l'uscio.
- Figlia mia bella, che vuoi?
- Dica a sua figlia Tina che si affacci alla finestra: voglio farle vedere una cosa.
- Sì, cuore mio bello! Or ora glielo dico. Coraggio, cuore mio! Pìgliati quest'involtino: te lo faccio passare di sotto l'uscio. Mangia, che ti piacerà.
- Tante grazie, zia Carmela!
- Niente, figliuola cara. E tieni duro, tieni duro! non ci vuol altro...
La si-donna Rosa lasciava dire e lasciava fare. E ogni giorno, appena il marito rincasava, gli rivolgeva la solita domanda:
- Debbo? - E con la mano faceva il gesto di mandar la chiave per aprire l'uscio.
- No! - le gridava egli. - Stia lì, lì, brutta ingrata! cuor di macigno! Come se non lo facessi per lei, per il suo bene! Tieni: un altro regalo, un braccialetto... faglielo vedere!
La si-donna Rosa si alzava, chiudeva gli occhi, sospirava e, con l'astuccetto in mano, entrava nella camera della figliuola.
Stellina se ne stava presso il letto, accoccolata per terra, sul tappetino, come una cagnetta ringhiosa. Strappava di mano alla madre il regalo e lo scaraventava a terra.
- Grazie tante, non lo voglio!
La madre allora perdeva la pazienza anche lei.
- Sedici onze di braccialetto, asinaccia! Non sei neanche degna di guardarla tanta grazia di Dio!
Stellina, appena uscita la madre, stropicciava il gomito del braccio sinistro sulla palma della mano destra e diceva a denti stretti:
- Rodetevi! Rodetevi!
Poi si ricomponeva la veste su le gambe, si alzava da sedere, gironzava un po' per la camera e, finalmente, eccola lì, presso il cassettone a guardar sottecchi il regalo raccattato dalla madre. La curiosità era più forte della repulsione per il vecchio donatore.
Si guardava nello specchietto a bilico, si rialzava i capelli dietro la nuca e sorrideva alla propria immagine: il visetto fresco e leggiadro apriva in quello specchio due occhi azzurri limpidi e gaj. Con quel sorriso, pareva sussurrasse a se stessa: " Birichina! ". E le veniva la tentazione di aprire quegli astucci, di provarsi... via, almeno gli orecchini... per un minuto, gli orecchini.
- No, questo è l'anello... M'andrà certo troppo largo... No, preciso! oh guarda... par fatto apposta per il mio dito...
E si ammirava la manina bianca inanellata, avvicinandola, allontanandola, piegandola or di qua or di là. E poi gli orecchi con gli orecchini, e poi i polsi coi braccialetti, e poi sul seno la lunga catena d'oro dell'orologino; e, così parata, andava a farsi un profondo inchino allo specchio dell'armadio:
- A rivederla, signora Alcozèr!
E una gran risata.



III

- Ecco... va bene: io non ho fretta, Marcantonio mio, - diceva, il giorno dopo, don Diego al Ravì, nel Caffè del Falcone: - Però, ecco... non per me, ma per il vicinato: sotto le finestre di casa tua (tu forse hai il sonno greve e non senti), quasi ogni notte si fanno serenate: chitarre e mandolini, eh eh... Lo so: giovanotti allegri... Che bellezza, la gioventù! Sai chi sono? I fratelli Salvo coi cugini Garofalo e Pepè Alletto: chitarre e mandolini.
- Vi giuro, don Diego mio, che non ne so nulla parola di galantuomo! Dite davvero? Serenate? Lasciate fare a me. Or ora vi fo vedere io, se...
- Dove vai?
- In cerca di codesti signorini che mi avete nominati.
- Sei matto? Siedi qua! Vuoi compromettermi?
- Voi non c'entrate!
- Come non c'entro, asino? Ci guastiamo, bada. Senza tante furie. Soglio far le cose con calma, io. Son giovanotti, e cantano: gioventù vuol dire allegria... Sa cantare anche Stellina, m'hai detto? Bene; il canto mi piace. Dicevo soltanto per il vicinato che sta a sentire ogni notte, e... capirai, le male lingue... Tu dovresti consigliare a codesti giovanotti un po' di pazienza, mi spiego? perché hai la puella già sposa. Ma con buona maniera, con calma.
- Lasciate fare a me.
- Senza compromettermi, oh!
La sera di quello stesso giorno, Marcantonio Ravì imbattendosi per via in Pepè Alletto, se lo chiamò in disparte e gli disse:
- Caro don Pepè, vi prego con buona maniera di lasciare in pace mia figlia; se no, faccio come quel tale; lo vedete questo bastone? Ve lo rompo in resta la prima volta che vi vedo ripassare col naso in aria sotto le finestre di casa mia.
Pepè Alletto lo guardò prima stordito, come se non avesse compreso; poi si tirò un passo indietro:
Ah sì? E se io vi dicessi...
- Che siete cognato di Ciro Coppa, bau bau? - compì la frase il Ravì.
- No! - negò, acceso di sdegno, il giovanotto. - Se vi dicessi che a me personalmente bastoni su la testa non ne ha mai rotti nessuno?
Il Ravì si mise a ridere.

...continua


Consulta la lista completa dei testi disponibili.

Questo sito utilizza i testi disponibili sui siti LiberLiber e Project Gutenberg dove puoi scaricarli gratuitamente.

Share Share on Facebook Share on Twitter Bookmark on Reddit Share via mail
Privacy Policy Creative Commons Attribution-Share Alike Trovami