La vita nuda

- È appena cominciato...
- Ma cominciato benissimo! - esclamò egli, chinandosi a osservare. - Ah, benissimo... Lui, è vero? il Sorini... Già, ora mi pare di ricordarmi bene, guardando il ritratto. Sì, sì... L'ho conosciuto... Ma aveva questa barbetta?
- No, - s'affrettò a rispondere la signorina. - Non l'aveva più ultimamente.
- Ecco, mi pareva... Bel giovine, bel giovine...
- Non so come fare, - riprese la signorina. - Perché questo ritratto non risponde...non è più veramente l'immagine che ho di lui, in me.
- Eh sì, - riconobbe subito il Pogliani, - meglio, lui, molto più... più animato, ecco... più sveglio, direi...
- Se l'era fatto in America, codesto ritratto, - osservò la madre, - prima che si fidanzassero, naturalmente...
- E non ne ho altri! - sospirò la signorina. - Guardi: chiudo gli occhi, così, e lo vedo preciso com'era ultimamente; ma appena mi metto a ritrarlo, non lo vedo più: guardo allora il ritratto, e lì mi pare che sia lui, vivo. Mi provo a disegnare, e non lo ritrovo più in questi lineamenti. È una disperazione!
- Ma guarda, Giulia, - riprese allora la madre, con gli occhi fissi sul Pogliani, - tu dicevi la linea del mento, volendo levare la barba... Non ti pare che qua nel mento, il signor Pogliani...
Questi arrossì, sorrise. Quasi senza volerlo, alzò il mento, lo presentò; come se con due dita, delicatamente, la signorina glielo dovesse prendere per metterlo lì, nel ritratto del Sorini.
La signorina levò appena gli occhi a guardarglielo, timida e turbata. (Non aveva proprio alcun riguardo per il suo lutto, la madre!)
- E anche i baffi, oh! Guarda!... - aggiunse la signora Consalvi, senza farlo apposta. - Li portava così ultimamente il povero Giulio, non ti pare?
- Ma i baffi, - disse, urtata, la signorina, - che vuoi che siano? Non ci vuol niente a farli!
Costantino Pogliani, istintivamente, se li toccò. Sorrise di nuovo. Confermò:
- Niente, già...
S'accostò quindi al cavalletto e disse:
- Guardi, se mi permette... vorrei farle vedere, signorina... Così, in due tratti, qua... non s'incomodi, per carità! qua in quest'angolo... (poi si cancella)... com'io ricordo il povero Sorini.
Sedette e si mise a schizzare, con l'ajuto della fotografia, la testa del fidanzato, mentre dalle labbra della signorina Consalvi, che seguiva i rapidi tocchi con crescente esultanza di tutta l'anima protesa e spirante, scattavano di tratto in tratto certi sì... sì... sì.... che animavano e quasi guidavano la matita. Alla fine, non poté più trattenere la propria commozione:
- Sì, oh guarda, mamma... è lui... preciso... oh, lasci... grazie... Che felicità, poter così... è perfetto... è perfetto...
- Un po' di pratica, - disse, levandosi, il Pogliani, con umiltà che lasciava trasparire il piacere per quelle vivissime lodi.
- E poi, le dico, lo ricordo tanto bene, povero Sorini...
La signorina Consalvi rimase a rimirare il disegno, insaziabilmente.
- Il mento, sì... è questo... preciso... Grazie, grazie...
In quel punto il ritrattino del Sorini che serviva da modello, scivolò dal cavalletto, e la signorina, ancora tutta ammirata nello schizzo del Pogliani, non si chinò a raccoglierlo.
Lì per terra, quell'immagine già un po' sbiadita apparve più che mai malinconica, come se comprendesse che non si sarebbe rialzata mai più.
Ma si chinò a raccoglierla il Pogliani, cavallerescamente.
- Grazie, - gli disse la signorina. - Ma io adesso mi servirò del suo disegno, sa? Non lo guarderò più, questo brutto ritratto.
E d'improvviso, levando gli occhi, le sembrò che la stanza fosse più luminosa. Come se quello scatto d'ammirazione le avesse a un tratto snebbiato il petto da tanto tempo oppresso, aspirò con ebbrezza, bevve con l'anima quella luce ilare viva, che entrava dall'ampia finestra aperta all'incantevole spettacolo della magnifica villa avvolta nel fascino primaverile.
Fu un attimo. La signorina Consalvi non poté spiegarsi che cosa veramente fosse avvenuto in lei. Ebbe l'impressione improvvisa di sentirsi come nuova fra tutte quelle cose nuove attorno. Nuova e libera; senza più l'incubo che l'aveva soffocata fino a poc'anzi. Un alito, qualche cosa era entrata con impeto da quella finestra a sommuovere tumultuosamente in lei tutti i sentimenti, a infondere quasi un brillio di vita in tutti quegli oggetti nuovi, a cui ella aveva voluto appunto negar la vita, lasciandoli intatti lì, come a vegliare con lei la morte d'un sogno.
E, udendo il giovane elegantissimo sculture con dolce voce lodare la bellezza di quella vista e della casa, conversando con la madre che lo invitava a veder le altre stanze, seguì l'uno e l'altra con uno strano turbamento, come se quel giovine, quell'estraneo, stesse davvero per penetrare in quel suo sogno morto, per rianimarlo.
Fu così forte questa nuova impressione, che non poté varcar la soglia della camera da letto; e vedendo il giovine e la madre scambiarsi lì un mesto sguardo di intelligenza, non poté più reggere; scoppiò in singhiozzi.
E pianse, sì, pianse ancora per la stessa cagione per cui tante altre volte aveva pianto; ma avvertì confusamente che, tuttavia, quel pianto era diverso, che il suono di quei suoi singhiozzi non le destava dentro l'eco del dolore antico, le immagini che prima le si presentavano. E meglio lo avvertì, allorché la madre accorsa prese a confortarla come tant'altre volte la aveva confortata, usando le stesse parole, le stesse esortazioni. Non poté tollerarle; fece un violento sforzo su se stessa; smise di piangere; e fu grata al giovine che, per distrarla, la pregava di fargli vedere la cartella dei disegni scorta lì su una sedia a libriccino.
Lodi, lodi misurate e sincere, e appunti, osservazioni, domande, che la indussero a spiegare, a discutere; e infine un'esortazione calda a studiare, a seguir con fervore quella sua disposizione all'arte, veramente non comune. Sarebbe stato un peccato! un vero peccato! Non s'era mai provata a trattare i colori? Mai, mai? Perché? Oh, non ci sarebbe mica voluto molto con quella preparazione, con quella passione...
Costantino Pogliani si profferse d'iniziarla; la signorina Consalvi accettò; e le lezioni cominciarono il giorno appresso, lì, nella casa nuova, che invitava ed attendeva.

Non più di due mesi dopo, nello studio del Pogliani, ingombro già d'un colossale monumento funerario tutto abbozzato alla brava, Ciro Colli, sdrajato sul canapè col vecchio camice di tela stretto alle gambe, fumava la pipa e teneva uno strano discorso allo scheletro, fissato diritto su per la predellina nera, che s'era fatto prestare per modello da un suo amico dottore.
Gli aveva posato un po' a sghembo sul teschio il suo berretto di carta; e lo scheletro pareva un fantaccino su l'attenti, ad ascoltar la lezione che Ciro Colli scultore-caporale, tra uno sbuffo e l'altro di fumo gl'impartiva:
- E tu perché te ne sei andato a caccia? Vedi come ti sei conciato, caro mio? Brutto... le gambe secche... tutto secco... Diciamo la verità, ti pare che codesto matrimonio si possa combinare? La vita, caro... guardala là, ma eh! che tocco di figliolona senza risparmio m'è uscita dalle mani! Ti puoi sul serio lusingare che quella lì ti voglia sposare? Ti s'è accostata, timida e dimessa; lagrime giù a fontana... ma mica per ricevere l'anello nuziale... levatelo dal capo! Spendola, caro, spendola giù la borsa... Gliel'hai data? E ora che vuoi da me! Inutile dire, se me lo credevo! Povero mondo e chi ci crede! S'è messa a studiar pittura, la Vita, e il suo maestro sai chi è? Costantino Pogliani. Scherzo che passa la parte, diciamo la verità. Se fossi in te, caro mio, lo sfiderei. Hai sentito stamane? Ordine positivo: non vuole, mi pro-i-bi-sce assolutamente che io la faccia nuda. Eppure lui, per quanto somaro, scultore è, e sa bene che per vestirla bisogna prima farla nuda... Ma te lo spiego io il fatto com'è: non vuole che si veda su quel nudo là meraviglioso il volto della sua signorina... è salito lassù, hai visto? su tutte le furie, e con due colpi di stecca, taf! taf! me l'ha tutto guastato... sai dirmi perché, fantaccino mio? Gli ho gridato: «Lascia! Te la vesto subito! Te la vesto!». Ma che vestire! Nuda la vogliono ora... la Vita nuda, nuda e cruda com'è, caro mio! sono tornati al mio primo disegno, al simbolo: via il ritratto! Tu che ghermisci, bello mio, e lei che non ne vuol sapere... Ma perché te ne sei andato a caccia? me lo dici?



LA TOCCATINA

I.

Col cappellaccio bianco buttato sulla nuca, le cui tese parevano una spera attorno al faccione rosso come una palla di formaggio d'Olanda, Cristoforo Golisch s'arrestò in mezzo alla via con le gambe aperte un po' curve per il peso del corpo gigantesco; alzò le braccia; gridò:
- Beniamino!
Alto quasi quanto lui, ma secco e tentennante come una canna, gli veniva incontro pian piano, con gli occhi stranamente attoniti nella squallida faccia, un uomo sui cinquant'anni, appoggiato a un bastone dalla grossa ghiera di gomma. Strascicava a stento la gamba sinistra.
- Beniamino! - ripeté il Golisch; e questa volta la voce espresse, oltre la sorpresa, il dolore di ritrovare in quello stato, dopo tanti anni, l'amico.
Beniamino Lenzi batté più volte le palpebre: gli occhi gli rimasero attoniti; vi passò solamente come un velo di pianto, senza però che i lineamenti del volto si scomponessero minimamente. Sotto i baffi già grigi le labbra, un po' storte, si spiccicarono e lavorarono un pezzo con la lingua annodata a pronunziare qualche parola:
- O.... oa... oa sto meo... cammìo...

...continua


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