Quaderni

Non dico di no: l'apparenza è lieve e vivace. Si va, si vola. E il vento della corsa dà un'ansia vigile ilare acuta, e si porta via tutti i pensieri. Avanti! Avanti perché non s'abbia tempo né modo d'avvertire il peso della tristezza, l'avvilimento della vergogna, che restano dentro, in fondo. Fuori, è un balenìo continuo, uno sbarbàglio incessante: tutto guizza e scompare.
Che cos'è? Niente, è passato! Era forse una cosa triste; ma niente, ora è passata.
C'è una molestia, però, che non passa. La sentite? Un calabrone che ronza sempre, cupo, fosco, brusco, sotto sotto, sempre. Che è? Il ronzìo dei pali telegrafici? lo striscìo continuo della carrùcola lungo il filo dei tram elettrici? il fremito incalzante di tante macchine, vicine, lontane? quello del motore dell'automobile? quello dell'apparecchio cinematografico?
Il bàttito del cuore non s'avverte, non s'avverte il pulsar delle arterie. Guaj, se s'avvertisse! Ma questo ronzìo, questo ticchettìo perpetuo, sì, e dice che non è naturale tutta questa furia turbinosa, tutto questo guizzare e scomparire d'immagini; ma che c'è sotto un meccanismo, il quale pare lo insegua, stridendo precipitosamente.
Si spezzerà?
Ah, non bisogna fissarci l'udito. Darebbe una smania di punto in punto crescente, un'esasperazione a lungo insopportabile; farebbe impazzire.
In nulla, più in nulla, in mezzo a questo tramenìo vertiginoso, che investe e travolge, bisognerebbe fissarsi. Cogliere, attimo per attimo, questo rapido passaggio d'aspetti e di casi, e via, fino al punto che il ronzìo per ciascuno di noi non cesserà.

III

Non posso levarmi dalla mente l'uomo incontrato un anno fa, la sera stessa che arrivai a Roma.
Di novembre, sera rigidissima. M'aggiravo in cerca d'un modesto alloggio, non per me, uso a passar le notti all'aperto, amico delle nottole e delle stelle, quanto per la mia valigetta, ch'era tutta la mia casa, lasciata in deposito alla stazione; allorché m'imbattei per caso in un mio amico di Sassari, da molto tempo perduto di vista: Simone Pau, uomo di costumi singolarissimi e spregiudicati. Udite le mie misere condizioni, egli mi propose d'andare a dormire per quella sera nel suo albergo. Accettai, e ci avviammo a piedi per le vie quasi deserte. Cammin facendo, gli parlavo delle mie molte disgrazie e delle scarse speranze che m'avevano condotto a Roma. Simone Pau alzava di tratto in tratto la testa scoperta, su cui i lunghi capelli grigi, lisci, sono spartiti in mezzo da una scriminatura alla nazzarena, ma a zig-zag, perché fatta con le dita, in mancanza di pettine. Questi capelli, poi, tirati di qua e di là dietro gli orecchi, gli formano una curiosa zazzeretta rada, ineguale. Cacciava via una grossa boccata di fumo e restava un pezzo, ascoltandomi, con l'enorme bocca tumida aperta, come quella di un'antica maschera comica. Gli occhi sorcigni, furbi, vivi vivi, gli guizzavano intanto qua e là come presi in trappola nella faccia larga rude, massiccia, da villano feroce e ingenuo. Credevo rimanesse in quell'atteggiamento, con la bocca aperta, per ridere di me, delle mie disgrazie e delle mie speranze. Ma, a un certo punto, lo vidi fermare in mezzo alla via vegliata lugubremente dai fanali e gli sentii dir forte nel silenzio della notte:
- Scusa, e come so io del monte, dell'albero, del mare? Il monte è monte, perché io dico: Quello è un monte. Il che significa: io sono il monte. Che siamo noi? Siamo quello di cui a volta a volta ci accorgiamo. Io sono il monte, io l'albero, io il mare. Io sono anche la stella, che ignora se stessa!
Restai sbalordito. Ma per poco. Ho anch'io - inestirpabilmente radicata nel più profondo del mio essere - la stessa malattia dell'amico mio.
La quale, a mio credere, dimostra nel modo più chiaro, che tutto quello che avviene, forse avviene perché la terra non è fatta tanto per gli uomini, quanto per le bestie. Perché le bestie hanno in sé da natura solo quel tanto che loro basta ed è necessario per vivere nelle condizioni, a cui furono, ciascuna secondo la propria specie, ordinate; laddove gli uomini hanno in sé un superfluo, che di continuo inutilmente li tormenta, non facendoli mai paghi di nessuna condizione e sempre lasciandoli incerti del loro destino. Superfluo inesplicabile, chi per darsi uno sfogo crea nella natura un mondo fittizio, che ha senso e valore soltanto per essi, ma di cui pur essi medesimi non sanno e non possono mai contentarsi, cosicché senza posa smaniosamente lo mutano e rimutano, come quello che, essendo da loro stessi costruito per il bisogno di spiegare e sfogare un'attività di cui non si vede né il fine né la ragione, accresce e còmplica sempre più il loro tormento, allontanandoli da quelle semplici condizioni poste da natura alla vita su la terra, alle quali soltanto i bruti sanno restar fedeli e obbedienti.
L'amico Simone Pau è convinto in buona fede di valere molto più d'un bruto, perché il bruto non sa e si contenta di ripeter sempre le stesse operazioni.
Sono anch'io convinto ch'egli valga molto più d'un bruto, ma non per queste ragioni. Che giova all'uomo non contentarsi di ripeter sempre le stesse operazioni? Già, quelle che sono fondamentali e indispensabili alla vita, deve pur compierle e ripeterle anch'egli quotidianamente, come i bruti, se non vuol morire. Tutte le altre, mutate e rimutate di continuo smaniosamente, è assai difficile non gli si scoprano, presto o tardi, illusioni o vanità, frutto come sono di quel tal superfluo, di cui non si vede su la terra né il fine né la ragione. E chi ha detto al mio amico Simone Pau, che il bruto non sa? Sa quello che gli è necessario e non s'impaccia d'altro, perché il bruto non ha in sé alcun superfluo. L'uomo che l'ha, appunto perché l'ha, si pone il tormento di certi problemi, destinati su la terra a rimanere insolubili. Ed ecco in che consiste la sua superiorità! Forse quel tormento è segno e prova (speriamo, non anche caparra!) di un'altra vita oltre la terrena; ma, stando così le cose su la terra, mi par proprio d'aver ragione quando dico ch'essa è fatta più pe' bruti che per gli uomini.
Non vorrei esser frainteso. Intendo dire, che su la terra l'uomo è destinato a star male, perché ha in sé più di quanto basta per starci bene, cioè in pace e pago. E che sia veramente un di più, per la terra, questo che l'uomo ha in sé (e per cui è uomo e non bruto), lo dimostra il fatto, ch'esso - questo di più - non riesce a quietarsi mai in nulla, né di nulla ad appagarsi quaggiù, tanto che cerca e chiede altrove, oltre la vita terrena, il perché e il compenso del suo tormento. Tanto peggio poi l'uomo vi sta, quanto più vuole impiegare su la terra stessa in smaniose costruzioni e complicazioni il suo superfluo.
Lo so io, che giro una manovella.
Quanto al mio amico Simone Pau, il bello è questo: che crede d'essersi liberato d'ogni superfluo riducendo al minimo tutti i suoi bisogni, privandosi di tutte le comodità e vivendo come un lumacone ignudo. E non s'accorge che, proprio all'opposto, egli, così riducendosi, s'è annegato tutto nel superfluo e più non vive d'altro.
Quella sera, appena giunto a Roma, io ancora non lo sapevo. Lo conoscevo, ripeto, di costumi singolarissimi e spregiudicati, ma non avrei potuto mai immaginare che la singolarità sua e la sua spregiudicatezza arrivassero fino al punto che dirò.

IV

Pervenuti in fondo al Corso Vittorio Emanuele, passammo il ponte. Ricordo che mirai quasi con religioso sgomento la fosca mole rotonda di Castel Sant'Angelo, alta e solenne sotto lo sfavillìo delle stelle. Le grandi architetture umane, nella notte, e le costellazioni del cielo pare che s'intendano tra loro. Nella frescura umida di quell'immenso sfondo notturno, sentii quel mio sgomento sobbalzare, guizzare come per tanti brividi, che forse mi venivano dai riflessi serpentini dei lumi degli altri ponti e delle dighe, nell'acqua nera, misteriosa, del fiume. Ma Simone Pau mi strappò a quell'ammirazione, volgendo prima verso San Pietro, poi scantonando per il Vicolo del Villano. Incerto della via, incerto di tutto, nel vuoto orrore delle vie deserte, piene di strane ombre vacillanti nei radi rivèrberi rossastri dei fanali, a ogni soffio d'aria, sui muri delle vecchie case, pensavo con terrore e con nausea alla gente che dormiva sicura in quelle case e non sapeva com'esse apparissero di fuori a chi errava sperduto per la notte, senza che per lui ce ne fosse una, ove potesse entrare. Di tratto in tratto, Simone Pau crollava il testone e si picchiava il petto con due dita. Oh sì! Il monte era lui, l'albero era lui, il mare era lui; ma l'albergo dov'era? Là, a Borgo Pio? Sì, là vicino: al Vicolo del Falco. Alzai gli occhi; vidi a destra di quel vicolo un casamento tetro con una lanterna sospesa davanti al portone: una grossa lanterna, ove la fiammella del becco sbadigliava a traverso i vetri sudici. Mi fermai davanti a quel portone mezzo chiuso e mezzo aperto, e lessi su l' arco:

OSPIZIO DI MENDICITÀ

- Tu dormi qua?
- E ci mangio anche. Ciotole di minestre squisite. In ottima compagnia. Vieni: sono di casa. Difatti, il vecchio portinajo e due altri addetti alla sorveglianza dell'ospizio, raccolti e curvi tutti e tre attorno a un braciere di rame lo accolsero come un ospite consueto, salutandolo coi gesti e con la voce dalla bacheca dell'androne rintronante:
- Buona sera, signor Professore.
Simone Pau mi prevenne, cupo, con molta serietà, che non mi facessi illusioni perché in quell'albergo non avrei potuto dormire per oltre sei notti di seguito. Mi spiegò, che ogni sei notti bisognava che ne passassi fuori per lo meno una all'aperto, per poi ripigliare la serie.
Io, dormire là?
Innanzi a quei tre sorveglianti, ascoltai la spiegazione con un sorriso afflitto, che pur mi nuotava lieve lieve su le labbra, come per tenermi l'anima a galla e impedirle di sprofondare nella vergogna di quel basso fondo.
Quantunque in misere condizioni e con poche lire in tasca, ero vestito bene, coi guanti alle mani, le ghette ai piedi. Volevo prendere l'avventura, con quel sorriso, come un capriccio bislacco del mio strano amico. Ma Simone Pau se n'irritò:
- Non ti par serio?
- No, caro, veramente non mi par serio.
- Hai ragione, - disse Simone Pau. - Serio veramente serio, sai chi è? è il dottore senza collo, vestito di nero, con grossa barba nera e occhiali a staffa, che nelle piazze addormenta la sonnambula. Io non sono ancora serio fino a questo punto. Puoi ridere, amico Serafino.
E seguitò a spiegarmi, che - tutto gratis, lì. D'inverno, nella branda, due lenzuola di bucato solide e fresche come vele di barca, e due grosse coperte di lana; d'estate, le sole lenzuola e una lucchesina per chi la vuole; poi, un accappatojo e un pajo di pantofole di tela con suola di corda, lavabili.
- Bada bene, lavabili.
- E perché?
- Ti spiego. Con quelle pantofole e con quell'accappatojo ti danno una tessera; tu entri in quello spogliatojo là - quella porta là, a destra - ti spogli e consegni gli abiti, scarpe comprese, per la disinfezione, che si fa nei forni, di là. Quindi... ecco, vieni qua, guarda... Vedi questa bella piscina?
Sprofondai gli occhi e guardai.
Piscina? Era un antro mùffido, angusto e profondo, una specie di cava da ricettarvi majali, tagliata nella pietra viva per lungo, a cui si scendeva per cinque o sei gradini e da cui esalava un puzzo ardente di lavatojo. Un tubo di latta, tutto a forellini gialli di ruggine, vi correva sopra, in mezzo, da un capo all'altro.
- Ebbene?
- Ti spogli di là; consegni gli abiti...
-...scarpe comprese...
-...scarpe comprese, per la disinfezione, e t'introduci nudo qua dentro.
- Nudo?
- Nudo in compagnia d'altri sei o sette nudi. Uno di questi cari amici qua della bacheca apre la chiavetta dell'acqua, e tu, sotto il tubo, zifff... ti prendi gratis, in piedi, una bellissima doccia. Poi t'asciughi magnificamente con l'accappatojo, ti calzi le pantofole di tela, te ne sali zitto zitto in processione con gli altri incappati per la scala; eccola qua; là c'è la porta del dormitorio, e buona notte.
- Imprescindibile?

...continua


Consulta la lista completa dei testi disponibili.

Questo sito utilizza i testi disponibili sui siti LiberLiber e Project Gutenberg dove puoi scaricarli gratuitamente.

Share Share on Facebook Share on Twitter Bookmark on Reddit Share via mail
Privacy Policy Creative Commons Attribution-Share Alike Trovami