Scialle nero

- Va bene! - concluse il fratello, duro e cocciuto. - Intanto, qua c'è Carlo. Lo dirà lui quello che hai. - E uscì dalla camera, richiudendo con furia l'uscio dietro di sé.
Eleonora si recò le mani al volto e scoppiò in violenti singhiozzi. Il D'Andrea rimase un pezzo a guardarla, fra seccato e imbarazzato; poi domandò:
- Perché? Che cos'ha? Non può dirlo neanche a me?
E come Eleonora seguitava a singhiozzare, le s'appressò, provò a scostarle con fredda delicatezza una mano dal volto:
- Si calmi, via; lo dica a me; ci son qua io.
Eleonora scosse il capo; poi, d'un tratto, afferrò con tutt'e due le mani la mano di lui, contrasse il volto, come per un fitto spasimo, e gemette:
- Carlo! Carlo!
Il D'Andrea si chinò su lei, un po' impacciato nel suo rigido contegno.
- Mi dica...
Allora ella gli appoggiò una guancia su la mano e pregò disperatamente, a bassa voce:
- Fammi, fammi morire, Carlo; ajutami tu, per carità! non trovo il modo; mi manca il coraggio, la forza.
- Morire? - domandò il giovane, sorridendo. - Che dice? Perché?
- Morire, sì! - riprese lei, soffocata dai singhiozzi. - Insegnami tu il modo. Tu sei medico. Toglimi da questa agonia, per carità! Debbo morire. Non c'è altro rimedio per me. La morte sola.
Egli la fissò, stupito. Anche lei alzò gli occhi a guardarlo, ma subito li richiuse, contraendo di nuovo il volto e restringendosi in sé, quasi colta da improvviso, vivissimo ribrezzo.
- Sì, sì, - disse poi, risolutamente. - Io, sì, Carlo: perduta! perduta!
Istintivamente il D'Andrea ritrasse la mano, ch'ella teneva ancora tra le sue.
- Come! Che dice? - balbettò.
Senza guardarlo, ella si pose un dito su la bocca, poi indicò la porta:
- Se lo sapesse! Non dirgli nulla, per pietà! Fammi prima morire; dammi, dammi qualche cosa: la prenderò come una medicina; crederò che sia una medicina, che mi dai tu; purché sia subito! Ah, non ho coraggio, non ho coraggio! Da due mesi, vedi, mi dibatto in quest'agonia, senza trovar la forza, il modo di farla finita. Che ajuto puoi darmi, tu, Carlo, che dici?
- Che ajuto? - ripeté il D'Andrea, ancora smarrito nello stupore.
Eleonora stese di nuovo le mani per prendergli un braccio e, guardandolo con occhi supplichevoli, soggiunse:
- Se non vuoi farmi morire, non potresti... in qualche altro modo... salvarmi?
Il D'Andrea, a questa proposta, s'irrigidì più che mai, aggrottando severamente le ciglia.
- Te ne scongiuro, Carlo! - insistette lei. - Non per me, non per me, ma perché Giorgio non sappia. Se tu credi che io abbia fatto qualche cosa per voi, per te, ajutami ora, salvami! Debbo finir così, dopo aver fatto tanto, dopo aver tanto sofferto? così, in questa ignominia, all'età mia? Ah, che miseria! che orrore!
- Ma come, Eleonora? Lei! Com'è stato? Chi è stato? - fece il D'Andrea, non trovando, di fronte alla tremenda ambascia di lei, che questa domanda per la sua curiosità sbigottita.
Di nuovo Eleonora indicò la porta e si coprì il volto con le mani:
- Non mi ci far pensare! Non posso pensarci! Dunque, non vuoi risparmiare a Giorgio questa vergogna?
- E come? - domandò il D'Andrea. - Delitto, sa! Sarebbe un doppio delitto. Piuttosto, mi dica: non si potrebbe in qualche altro modo... rimediare?
- No! - rispose lei, recisamente, infoscandosi. - Basta. Ho capito. Lasciami! Non ne posso più...
Abbandonò il capo su la spalliera del seggiolone, rilassò le membra: sfinita.
Carlo D'Andrea, con gli occhi fissi dietro le grosse lenti da miope, attese un pezzo, senza trovar parole, non sapendo ancor credere a quella rivelazione, né riuscendo a immaginare come mai quella donna, finora esempio, specchio di virtù, d'abnegazione, fosse potuta cadere nella colpa. Possibile? Eleonora Bandi? Ma se aveva in gioventù, per amore del fratello, rifiutato tanti partiti, uno più vantaggioso dell'altro! Come mai ora, ora che la gioventù era tramontata... - Eh! ma forse per questo...
La guardò, e il sospetto, di fronte a quel corpo così voluminoso, assunse all'improvviso, agli occhi di lui magro, un aspetto orribilmente sconcio e osceno.
- Va', dunque, - gli disse a un tratto, irritata, Eleonora, che pur senza guardarlo, in quel silenzio, si sentiva addosso l'inerte orrore di quel sospetto negli occhi di lui. - Va', va', a dirlo a Giorgio, perché faccia subito di me quello che vuole. Va'.
Il D'Andrea uscì, quasi automaticamente. Ella sollevò un poco il capo per vederlo uscire; poi, appena richiuso l'uscio, ricadde nella positura di prima.

II

Dopo due mesi d'orrenda angoscia, quella confessione del suo stato la sollevò, insperatamente. Le parve che il più, ormai, fosse fatto.
Ora, non avendo più forza di lottare, di resistere a quello strazio, si sarebbe abbandonata, così, alla sorte, qualunque fosse.
Il fratello, tra breve, sarebbe entrato e l'avrebbe uccisa? Ebbene: tanto meglio! Non aveva più diritto a nessuna considerazione, a nessun compatimento. Aveva fatto, sì, per lui e per quell'altro ingrato, più del suo dovere, ma in un momento poi aveva perduto il frutto di tutti i suoi benefizi.
Strizzò gli occhi, colta di nuovo dal ribrezzo.
Nel segreto della propria coscienza, si sentiva pure miseramente responsabile del suo fallo. Sì, lei, lei che per tanti anni aveva avuto la forza di resistere a gli impulsi della gioventù, lei che aveva sempre accolto in sé sentimenti puri e nobili, lei che aveva considerato il proprio sacrifizio come un dovere: in un momento, perduta! Oh miseria! miseria!
L'unica ragione che sentiva di potere addurre in sua discolpa, che valore poteva avere davanti al fratello? Poteva dirgli: «Guarda, Giorgio, che sono forse caduta per te»? Eppure la verità era forse questa.
Gli aveva fatto da madre, è vero? a quel fratello. Ebbene: in premio di tutti i benefizi lietamente prodigati, in premio del sacrifizio della propria vita, non le era stato concesso neanche il piacere di scorgere un sorriso, anche lieve, di soddisfazione su le labbra di lui e dell'amico. Pareva che avessero entrambi l'anima avvelenata di silenzio e di noja, oppressa come da una scimunita angustia. Ottenuta la laurea, s'eran subito buttati al lavoro, come due bestie; con tanto impegno, con tanto accanimento che in poco tempo erano riusciti a bastare a se stessi. Ora, questa fretta di sdebitarsi in qualche modo, come se a entrambi non ne paresse l'ora, l'aveva proprio ferita nel cuore. Quasi d'un tratto, così, s'era trovata senza più scopo nella vita. Che le restava da fare, ora che i due giovani non avevano più bisogno di lei? E aveva perduto, irrimediabilmente, la gioventù.
Neanche coi primi guadagni della professione era tornato il sorriso su le labbra del fratello. Sentiva forse ancora il peso del sacrifizio ch'ella aveva fatto per lui? si sentiva forse vincolato da questo sacrifizio per tutta la vita, condannato a sacrificare a sua volta la propria gioventù, la libertà dei proprii sentimenti alla sorella? E aveva voluto parlargli a cuore aperto:
- Non prenderti nessun pensiero di me, Giorgio! Io voglio soltanto vederti lieto, contento... capisci?
Ma egli le aveva troncato subito in bocca le parole:
- Zitta, zitta! Che dici? So quel che debbo fare. Ora spetta a me.
- Ma come? così? - avrebbe voluto gridargli, lei, che, senza pensarci due volte, s'era sacrificata col sorriso sempre su le labbra e il cuor leggero.
Conoscendo la chiusa, dura ostinazione di lui, non aveva insistito. Ma, intanto, non si sentiva di durare in quella tristezza soffocante.
Egli raddoppiava di giorno in giorno i guadagni della professione; la circondava d'agi; aveva voluto che smettesse di dar lezioni. In quell'ozio forzato, che la avviliva, aveva allora accolto, malauguratamente, un pensiero che, dapprincipio, quasi l'aveva fatta ridere:

...continua


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