New Thing

Alla memoria di Kwame Ture
Port-of-Spain, Trinidad 1941- Conakry, Guinea 1998

Prologo. 12 aprile 1967


Il coro prova nell'aula di una scuola elementare. Niente audizioni, chiunque può venire. Sa cantare? Canterà. È stonato? Può ascoltare, bere caffè, guardare i disegni dei bimbi alle pareti.
Stasera ce n'è di gente nuova. Presentazioni, strette di mano. Questa è l'aula di mio figlio. Il bidello è mio cugino. In bagno c'è la scritta che ho fatto a sette anni con un chiodo.
Anita ha un sorriso per tutti, ascolta le voci, divide le persone in tre gruppi poi le fa sedere in cerchio. Sulla lavagna, il testo di uno spiritual.
Anita canta i primi versi, provando l'intonazione su un pianoforte verticale. Insegna le parti, fa cantare una sezione alla volta. La prendi troppo bassa o troppo alta, voci che si rompono, colpi di tosse, risate. Anita spiega i rudimenti: "seconda voce", "chiamata e risposta"... Passano di mano tazze di caffè.
E ora tutti insieme. Un ragazzo siede al piano, Anita canta.

I feel like, I feel like, Lord
I feel like my time ain't long1

Il coro risponde e prosegue. Ti avventuri nella tradizione con impaccio, segui a ritroso vecchie impronte nel fango. Non ti aspetti il vitello grasso, ti accontenti di caffè, biscotti, una serata in compagnia. L'attenzione è divisa tra il respiro, la lavagna e le mani di Anita che dirige.

Mind out, my brother, how you walk de cross,
I feel like my time ain't long
Yo' foot might slip an' yo' soul git los'
I feel like my time ain't long2

Disperso l'ultimo riverbero, qualcuno esclama "Wow!", c'è chi salta sulla sedia, chi batte le mani. Anita è sorpresa: niente male. Facciamola ancora.

Mezz'ora e già canti senza troppe sbavature. Pausa, sigarette, altro caffè. Niente alcolici. Bedford-Stuyvesant, Brooklyn. Terza sera di prove, il coro non ha ancora un nome.
Anita ha vent'anni e si sta per sposare.











1.
2.

0. Se ti dimentichi

Il traduttore cleptomane: gioielli, candelabri e oggetti di valore sparivano dal testo che stava traducendo.
JEAN BAUDRILLARD

ROWDY-DOW Nell'appartamento di sopra viveva una signora bianca sui sessanta, un po' fuori di testa, separata dal marito. Ex-insegnante, mi pare fosse. Gran sbalzi d'umore, ce l'aveva con mezzo condominio per i motivi piú del cazzo. I martedí mattina veniva un dominicano a farle le pulizie, un bordello che non ti dico, pestava i piedi e non bastasse cantava. Niente di male a canticchiare, ma quello latrava a squarciagola, in spagnolo. Quando spostava i mobili sembrava il riot di Harlem del '64. Passava lo straccio che pareva volesse farci il buco, nel pavimento. L'aspirapolvere gridava tipo algerino torturato con gli elettrodi. Questo prima delle otto del mattino, che io magari ero tornato alle quattro dopo aver suonato chissà dove. Mi svegliavo con le palpitazioni. Una volta, mi è addirittura caduto in faccia un velo d'intonaco del soffitto.
La prima volta telefono alla vecchia per lamentarmi, le chiedo se non è possibile far venire il domestico piú tardi, già due ore dopo sarebbe un'altra cosa. Mi risponde gentile, dice che non si può ma informerà il tipo e "vedrà che la settimana prossima farà meno rumore".
La settimana dopo non cambia un cazzo: mi sveglio alle sette e tre quarti col bum! bum! bum! tipo tamburi di Chano Pozo, mia moglie è già fuori di casa e il coglione è di sopra che canta. Batto col manico di scopa, ma non serve. Mi vesto e salgo, suono alla porta.
Senza aprirmi, il coglione urla: - La señora no está en la casa.
E io: - Sono quello del piano di sotto, apri un istante, uomo, devo spiegarti una cosa...
E lui: - La señora no está en la casa.

...continua


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