L'avaro

Carlo Goldoni

L'AVARO


COMMEDIA

Rappresentata in Bologna da una nobilissima compagnia di Cavalieri e Dame nel 1756.


L'AUTORE A CHI LEGGE

Una Commedia di un atto solo sembrerà forse a taluno poca cosa per l'integrità del Tomo e cosa facile per un autore. Io, con buona grazia di chi ciò crede, non accordo nè l'una, nè l'altra delle sue conghietture. Rispetto all'integrità, quando una Commedia d'un atto solo ha tutte le parti che si richiedono in un simile componimento, è tanto Commedia intiera, quanto lo è Calisto e Melibea, che è composta in quindici atti. I Francesi hanno moltissimo in uso le petites pièces, che vuol dire in italiano le picciole Commedie; picciole per la mole, non già per l'argomento, per l'intreccio e lo scioglimento. Sono utili tali Commedie per le conversazioni e per li Teatri, allora quando si rappresentino delle Tragedie, le quali per ordinario sono brevi e melanconiche, e la Commedia di un atto allunga il divertimento, e rallegra il popolo contristato. Questa fu da me scritta per comando di S. E. il Sig. Marchese Francesco Albergati Senator di Bologna, ad uso di Cavalieri e Dame di quella Città, ed ebbe la fortuna di essere recitata perfettamente, e di piacere non dirò per se stessa, ma per il merito degli Attori, e mi lusingo che recitata da bravi Comici, dopo di una Tragedia, non farebbe cattivo effetto in qualunque Teatro; anzi io credo necessarissimo, che al Teatro Italiano non manchi anche questa specie di divertimento, di cui abbonda il Francese, e che possa il pubblico compiacersene, siccome ne abbiamo veduto l'anno scorso in Venezia un favorevole esempio, avendo il dottissimo Conte Gasparo Gozzi tradotta dal Francese, e data al pubblico con fortuna, una simile rappresentazione.
Se poi alcuno cosa facile la credesse, e di minore studio di una Commedia di tre o di cinque atti, s'ingannerebbe moltissimo. Il ritrovato dell'argomento è lo stesso, i caratteri servono egualmente alla brevità e alla lunghezza, l'intreccio, la peripezia, la catastrofe sono parti integrali e indispensabili tanto della Commedia più breve, quanto della più lunga. Ella è bensì cosa malagevole e difficoltosa consumare l'intiera azione in sì corto tempo, e vincolare la fantasia in così limitati confini. In una regolare Commedia, divisa in atti, abbiamo la libertà di estenderci a ventiquattr'ore di tempo. La divisione degli atti è comodissima per l'Autore, figurando fra un atto e l'altro delle cose che non si vedono, ma vengono poi artificiosamente accennate. Per lo contrario, nella Commedia di un atto solo, l'azione che si rappresenta dee consumarsi in iscena in quel ristretto tempo in cui un fatto vero potrebbe ragionevolmente accadere. Se ciò è facile a meditarsi e ad eseguirsi, lo lascio giudicare a chi intende.
Se alcuno si lagnerà di questa breve Commedia, sarà perchè, bramoso di leggere più lungamente, gl'increscerà di aver troppo presto finito il divertimento, ma se penserà poi alla fatica ch'essa mi costa, ed all'onesto fine per cui l'ho stampata, spero mi sarà grato, o per lo meno indulgente. Non creda però ch'io voglia abusarmi della sua compiacenza. Tre o quattro di queste brevi Commedie in una lunga serie di Tomi, mi sembrano compatibili anche da' più avidi di leggere e di divertirsi; e ve ne sono, e ve ne saranno di così lunghe che pesandole tutte insieme, credo vi sarà per tutti il giusto peso e la giusta misura.



PERSONAGGI


DON AMBROGIO, vecchio avaro.
DONNA EUGENIA, vedova, nuora di Don Ambrogio.
IL CONTE FILIBERTO dell'Isola.
IL CAVALIERO COSTANZO degli Alberi.
DON FERDINANDO, giovane Mantovano.
CECCHINO, servitore.
Un PROCURATORE, che non parla.


La Scena si rappresenta in Pavia, in una galleria in casa di don Ambrogio.


ATTO SOLO

SCENA PRIMA

Don Ambrogio solo.

Oh quanto vale al mondo un poco di buona regola! Ecco qui, in un anno, dopo la morte di mio figliuolo, ho avanzato due mila scudi. Sa il cielo, quanto mi è dispiaciuto il perdere l'unico figlio ch'io aveva al mondo, ma s'ei viveva un paio d'anni ancora, l'entrate non bastavano, e si sarebbono intaccati i capitali. È grande l'amor di padre, ma il danaro è pure la bella cosa! Spendo ancora più del dovere, per cagione della nuora ch'io tengo in casa. Vorrei liberarmene, ma quando penso che ho da restituire la dote, mi vengono le vertigini. Sono fra l'incudine ed il martello. Se sta meco, mi mangia le ossa; se se ne va, mi porta via il cuore. Se trovar si potesse... Ecco qui quest'altro tàccolo, che mi tocca soffrire in casa. Un altro regalo di mio figliuolo; ma ora dovrebbe andarsene.


SCENA II

Don Fernando e detto.

FER. Buon giorno, signor Don Ambrogio.
AMB. Per me non vi è più nè il buon giorno, nè la buona notte.
FER. Compatisco l'amor di padre. Voi perdeste nel povero Don Fabrizio il miglior cavaliere del mondo.
AMB. Don Fabrizio era un cavaliere che avrebbe dato fondo alle miniere dell'Indie. Dacchè si è maritato, ha speso in due anni quello ch'io non avrei speso in dieci. Son rovinato, signor mio caro, e per rimettermi un poco, mi converrà vivere da qui in avanti con del risparmio, e misurare il pane col passetto.
FER. Perdonatemi. Non mi so persuadere che la vostra casa sia in questo stato.

...continua


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