Manituana

Ci fu un boato di stupore e approvazione. Il capitano avanzò per prendere in consegna il prigioniero. Prima che i soldati lo trascinassero via, Ethan Allen alzò la voce per sovrastare il rumore della folla.
- Io sono il fuoco che consuma Babilonia! A morte i tiranni!
Ethan Allen sfilò sotto una pioggia di insulti e ortaggi andati a male.




Seconda parte
Mohock Club
1775-76



1.

La carrozza scese lungo la strada, mentre i giganti di St. Dunstan battevano due rintocchi. Il vetturino lottava contro il sonno: un sorso di troppo alla bottiglia sotto il sedile. La nebbia era densa, doveva affidarsi all'istinto del cavallo, bussola puntata sulla stalla.
Un grido di bestia selvatica lacerò la notte. L'uomo tirò le redini e sussultò. Quando l'urlo si ripeté, proveniva da piú vicino. Il cocchiere avvertí una stretta alle budella.
Una parrucca bianco latte si sporse dal finestrino.
- Che diavolo succede, Giles?
- Non sono sicuro di volerlo sapere, signore.
Il vetturino colse un movimento con la coda dell'occhio, sull'altro lato della carrozza. Si girò di scatto: un'immagine fugace, poi solo nebbia.
- Forza, Giles, andiamo!
Il servo strinse le palpebre, il pensiero andò alla bottiglia sotto il sedile. Non poteva aver visto quel che gli era sembrato di vedere. Un uomo nudo?
Scrollò forte la testa e fece per frustare il cavallo, ma un tonfo secco scosse la carrozza. Il passeggero lanciò un grido di paura e stupore.
Non c'erano dubbi: nello sportello era piantata una freccia.
- Frusta quella dannata bestia, Giles, per l'amor del cielo!
Il servitore schioccò la frusta, ma il cavallo impennò con un nitrito, prima di accasciarsi sulle zampe anteriori, il capo disteso sui ciottoli. Alla luce fioca del lampione si vedevano due frecce, conficcate nel collo dell'animale.
Il gin non c'entrava, pensò Giles. Forse era giunta la sua ora.
Percepiva presenze, ombre striscianti.
- Che volete? - gridò per farsi forza. Intanto aveva raccolto la grossa pistola che teneva a fianco della bottiglia e la caricava con mano tremante. La puntò in faccia alla nebbia, dove sentiva i loro passi. Correvano intorno alla carrozza, qua e là intravedeva il biancheggiare di un corpo. - Chi si avvicina è morto, - ringhiò dalla cassetta.
Il passeggero si affacciò di nuovo.
- Diteci quanto volete e lasciateci tranquilli, - esclamò con voce stentorea.
In risposta, una seconda freccia raggiunse la fiancata. La testa si ritrasse nel guscio della carrozza.
- Non temete, signore, venderemo cara la pelle, - garantí Giles, ma fece appena in tempo a girarsi per ricevere un colpo alla testa. Mentre sentiva la forza di gravità avere la meglio e la vista cedere al buio dell'incoscienza, riuscí a strappare alla veglia un'ultima immagine. Una grossa mezzaluna turca, tatuata sulla fronte di un energumeno dalla faccia dipinta, con un solo ciuffo di capelli in mezzo alla testa. Gran brutta faccia, pensò Giles prima di piombare sul selciato e perdere i sensi.
Il gentiluomo chiamò il vetturino, ma capí d'essere rimasto solo in balía delle bestie. Vedeva sagome saettare davanti al finestrino, sentiva sussurri, versi di animali. Quando un'ombra si fermò minacciosa davanti all'apertura, brandí il bastone da passeggio e calò un fendente. Approfittò del trambusto per aprire lo sportello sull'altro lato e precipitarsi fuori. Provò a correre ma inciampò e, quando fu di nuovo in piedi, lo avevano accerchiato. Ne contò almeno cinque. Tutti con la testa rasata e a torso nudo. Un rivolo di sangue scendeva su una faccia. L'uomo vide armi lunghe, bastoni appuntiti, uno spiedo, perfino un forcone.
- Imperatore! - esclamò uno dei selvaggi alle sue spalle. - Costui mi offende mostrandomi il culo.
- Ignobile affronto! - gli fece eco quello con la mezzaluna sulla fronte. - Punitelo secondo la legge dei Mohock.
Il selvaggio rifilò una stoccata nel posteriore del gentiluomo. Quello si girò di scatto, ma cosí facendo mostrò le terga a un altro membro della banda, che subito gliene diede una seconda, costringendolo a un'altra giravolta; ma già arrivava un terzo colpo, poi un quarto, mentre tutti gridavano invasati: - Mo-hock! Mo-hock! Mo-hock! - dimenando le braccia, pestando i piedi e urtandosi l'un l'altro con poderose spallate.
All'improvviso, quello che chiamavano Imperatore alzò un braccio. I sottoposti si fermarono.
La vittima era piegata in due, mani sulle ginocchia, cercava aria a grandi boccate. A un secondo cenno del caporione, la sollevarono per i piedi finché ogni moneta non saltò fuori dalle tasche.
L'Imperatore incassò la refurtiva, poi si chinò sul malcapitato.
- Mi chiamo Taw Waw Eben Zan Kaladar II, Imperatore dei Mohock di Londra. Dopo il tramonto, questa è la mia riserva di caccia -. Trasse un respiro profondo e la mezzaluna si increspò di rughe. Quindi strappò la parrucca candida del gentiluomo e la legò alla cintura.
- Potete andarvene, - aggiunse. - Ma in fretta. Avete bisogno di un bagno.
Il disgraziato si sollevò a fatica, stringendo i denti, e iniziò a correre alla cieca, verso il fondo della strada. Con un movimento rapido il capobanda recuperò l'arco, prese la mira e scoccò una freccia nel posteriore dell'uomo in fuga. Quello riuscí a malapena a urlare, prima di perdere i sensi. Gli altri assalitori si scambiarono occhiate perplesse.
- E se tira la crepa? - lamentò uno di loro. - Metti che è un milordone.
L'energumeno lo degnò appena di un'occhiata, mentre infilava l'arco a tracolla.
- Diventiamo famosi.
Nessuno aggiunse altro. Preceduti dal capo, uno alla volta rientrarono nella nebbia, creature d'incubo prima del risveglio. L'ultimo lanciò di nuovo il grido di guerra animalesco, a sfidare la notte di Londra.




...continua


Consult the complete list of available texts.

This site uses the texts available on the web sites LiberLiber and Project Gutenberg where you can download them for free.

Share Share on Facebook Share on Twitter Bookmark on Reddit Share via mail
Privacy Policy Creative Commons Attribution-Share Alike Trovami